L’Uomo (reale e immaginato ) nell’era della genetica

Dalla lettura di un vecchio libro di Konrad Lorenz

Konrad LorenaSe dovessimo individuare il paradigma dominante di questo millennio a proposito della nostra auto rappresentazione, probabilmente sarebbe l’immagine dell’uomo che ci viene rappresentato dalla genetica ad occupare il primo posto. Nella pubblicistica, nelle comunicazioni di massa, nel cinema, l’uomo (e l’animale) manipolato in laboratorio dai biologi molecolari, è spesso il protagonista. Se poi all’uomo “genetico” affianchiamo l’azione della tecnologia, in particolare dell’integrazione uomo-tecnologia, ecco che avremo le principali componenti dell’immaginario contemporaneo. Ed è normale che sia così, ogni epoca vive di immaginari specifici.

Negli ultimi anni, il paradigma dell’uomo naturale è oggetto di una sorta di reflusso contro la visione sistematizzata all’epoca di Darwin e via via strutturatasi in modo sempre più preciso con il progredire degli studi naturalistici. Tuttavia, tale paradigma regge il colpo.

Potrebbe contribuire ad un’idea meno superficiale e meno ideologica di tale paradigma, un recupero critico del pensiero di Konrad Lorenz, noto studioso austriaco e dai più ritenuto uno dei padri fondatori della moderna etologia.

Il punto di partenza di questo ipotetico recupero, potrebbe partire per un lettore curioso da una godibile raccolta di saggi curata da Irenaus Eibl-Eibesfeldt (già allievo di Lorenz), quando ancora l’etologo era in vita: Natura e destino (L’ultima edizione reperibile, a quanto mi risulta, è dell’inizio degli anni Novanta).

La raccolta dei saggi compresi in questa pubblicazione ha il merito di rappresentare gli interessi dell’etologo ben oltre la semplice ricerca sul comportamento e la psicologia comparata. Lorenz, infatti, sentiva costantemente l’esigenza di avere un’idea generale dell’uomo, e per questo spesso le sue riflessioni, partendo da osservazioni sperimentali e oggettive, arrivano a considerazioni di tipo sociologico e filosofico.

Secondo Lorenz, l’osservazione del mondo animale è utile per spiegare le connessioni tra l’evoluzione naturale e culturale. E per far questo non esita nel tentativo di dare una forma filosofica alle scienze naturali, e viceversa a ricondurre a spiegazioni naturalistiche le idee filosofiche.

Un esempio tra tutti: l’intelletto è una funzione organica, e le forme dell’intuizione e le categorie fissate prima dell’esperienza non sono niente di più di un adattamento evolutivo, come lo zoccolo del cavallo sviluppatosi in rapporto al terreno su cui l’animale vive. Insomma, Kant rivisto, o meglio dimostrato, dal punto di vista evolutivo.

Che tutte le leggi della “ragione pura” siano sostanzialmente biologiche e si basino, se si vuole, addirittura su strutture meccaniche del sistema nervoso centrale umano, evolutesi, come ogni altro organo, nel corso di un millenario sviluppo, è un fatto che, una volta acquisito, invita alla modestia e che, se da un lato scuote la nostra fiducia in loro, dall’altro la aumenta sensibilmente. Appare una presunzione antropocentrica affermare la loro validità assoluta, e perfino che ogni possibile essere razionale, un angelo al limite, debba possedere le stessi leggi del pensiero.

Interessante anche un’affermazione emblematica di Lorenz: la vita è un processo cognitivo. Vale a dire, l’adattamento dell’individuo e della specie nel corso delle generazioni risponde essenzialmente ad un processo di acquisizione di informazioni tratte dall’ambiente. E questo vale tanto per i comportamenti macroscopici, per esempio per quelli sociali, umani e animali, quanto per quelli strettamente biologici.

Lorenz non critica apertamente il riduzionismo delle scienze. Sostiene semplicemente che il riduzionismo generalizzante, come quello proficuamente impiegato dalla fisica, si possa applicare alla “struttura”, mentre un riduzionismo di tipo metodico, come quello delle scienze biologiche, possa essere applicato allo studio del particolare, tipico di questa sfera di indagine.

È vero, però, che lo studioso austriaco tende a costruirsi una visione che per certi aspetti potrebbe definirsi conservatrice e a questa cerca di dare spiegazioni naturali. Ciò avviene, ad esempio, quando da più generiche considerazioni sociali-comportamentali relative all’uomo, l’autore si cala nella contemporaneità e vede, ad esempio nel mutamento dei rapporti tra i generi e i legami di coppia, un’involuzione dannosa. Parimenti, le sue posizioni sulla degenerazione della civiltà sanno un po’ di ideologia, nonostante siano coerenti con la visione evoluzionistica che non assegna una direzione unica di progresso ai mutamenti temporali, ma solo di opportunismo ambientale.

L’argomentare è abile, desunto da presupposti naturalistici, ma irrimediabilmente ideologico. È vero che Lorenz, attento osservatore della realtà, aveva ancora nella memoria l’epocale rivoluzione culturale avvenuta negli anni Sessanta, da un lato così proficua per alcuni importanti traguardi nell’evoluzione del costume e nell’estensione dei diritti, ma dall’altro lato fonte di inasprimenti ideologici violenti negli anni Settanta e preludio all’individualismo che Lorenz aveva sotto gli occhi durante gli anni Ottanta.

Fatte salve queste riserve, doverose a qualsiasi approccio critico, la lettura di Lorenz è ancora utile e formativa per il lettore del XXI secolo.


Il libro: K. Lorenz, Natura e destino, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1985.

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