Scrittori emergenti ed esordienti

Il mercato dei sogni (e delle illusioni): self publishing, corsi di scrittura creativa, book influencer, agenzie letterarie

self publishingL’era del self publishing ha creato un universo infinito e frammentato di pubblicazioni. Il panorama editoriale nel passato imposto verticalmente dai grandi editori, si è fatto così via via più democratico e libero, lasciando spazio a nuove voci. Ecco, in queste poche affermazioni sta tutta l’essenza di una rivoluzione “democratica” mancata e di un’utopia che nei fatti non si è mai realizzata. Come cercherò di spiegare più avanti in queste brevi note, l’apertura di nuove possibilità per gli autori di procedere con un “fai da te” senza filtri impostati dall’alto, ha prodotto sì varietà e margini di libertà, ma nei fatti questa varietà e libertà si sono rivelate dimensioni illusorie. Al contrario, il mondo editoriale ha percorso una via sempre più chiusa, di impostazione “aziendale”, rinunciando ad un ruolo sociale molto importante. Ma procediamo con calma.

Problema numero uno: non sei uno scrittore. A proposito del fatto che “tutti possono dire tutto” nell’era del web 2.0, il primo problema è certamente quello noto della qualità. Un problema che, diciamolo subito, fa il gioco dei “vecchi” operatori del sistema nel trovare eventuali giustificazioni al loro modo di procedere. Tuttavia, dobbiamo riconoscere con onestà che si tratta di un problema fondato. La scrittura “democratica” è una scrittura di massa, e lo dico come pura constatazione. Se prima si arrivava al mestiere di scrivere attraverso una formazione abbastanza prevedibile e strutturata, oggi chiunque può cimentarsi con la stesura di un romanzo o di una raccolta di poesie “a sentimento”. Ed è sacrosanto dal punto di vista della libertà espressiva. Questo comporta, però, che l’aspirante scrittore potrebbe aver composto il suo ipotetico capolavoro nell’isolamento di una formazione superficiale e inesistente, non avere una vera consapevolezza della sua capacità tecnica della scrittura, o peggio, avendo letto tre libri in vita sua, prendendo lucciole per lanterne e non rendendosi conto di aver scoperto l’acqua calda. Intendiamoci, questa non è una posizione sprezzante e snob ma la constatazione che la scrittura ha bisogno certamente di libertà, ma anche di duro lavoro (studio ed esercizio).

L’editor, anche il peggiore di questo mondo e solo interessato a scovare “oggetti” da piazzare sul mercato, opera almeno una selezione tecnica, anche se grossolana. Il contesto che lo attornia si suppone che concorra a sopperire ad eventuali lacune del nostro editor, in modo tale che il suo approccio verso l’oggetto da considerare (il manoscritto dell’aspirante scrittore) sia esaminato attraverso la lente di una conoscenza culturale pregressa, vista attraverso la rete di tutti i libri pubblicati e pubblicabili a seconda delle esigenze del famigerato mercato. Lo scrittore ingenuo pensa di aver scritto un capolavoro, ed ha scritto invece una banalità trita, scritta male, noiosa? L’editor si accorge di questi difetti e cestina senza appello il povero manoscritto. Senza questo atto malefico e sadico, noi imbratta-carte qualsiasi non sospettiamo neppure di essere tali.

Problema numero due: come aspirante scrittore non sei un produttore creativo, ma un consumatore per un mercato specifico. L’algoritmo svela in pochi giorni all’aspirante scrittore una triste novità. Il nostro novello Shakespeare incompreso pensa di presentare il frutto della sua creatività al mondo, ma trova un pubblico diverso ad attenderlo. Un mondo pronto a “vendergli” qualcosa. Corsi di scrittura a pagamento, formazione per lo scrittore di successo, valutazione (senza impegno di pubblicazione ma con lettura e scheda a pagamento) del manoscritto, recensioni, servizi di comunicazione e promozione dedicate, e così via. Tutto questo risulta palese al malcapitato non appena i “contenuti sponsorizzati” gli si ritorcono contro, inconsapevole di cosa lo attendeva quando cercava in rete informazioni per arrivare ad una platea più ampia di lettori, o come proporsi ad un editore che lo pubblicasse e lo distribuisse decentemente.

L’algoritmo, dicevamo, è tiranno: sui motori di ricerca, sui social, reso saggio dall’insistenza con la quale il nostro scrittore ha cercato il suo successo, induce in tentazione a sua volta il nostro scrittore con le proposte allettanti che abbiamo citato sopra. I suoi sogni sono a portata di mano. Deve solo pagare.

Precisiamo una cosa. Tutto questo lo dico senza astio e riconoscendo nella stragrande maggioranza dei casi la buona fede di chi propone questi servizi. Si tratta di professionisti che offrono davvero un servizio, e che in quanto tale ha giustamente un costo; in qualche modo questi servizi migliorano il “prodotto” del nostro aspirante scrittore, aumentano l’eventuale visibilità di un’opera pubblicata in autonomia, o ancora costruiscono una consapevolezza per l’aspirante scrittore che potrà aiutarlo a migliorare.

La mia simpatia per questi poveri diavoli, inoltre, è anche motivata da altro: in molti casi questi “editor” freelance, “agenti letterari” improvvisati, “recensori d’assalto” facevano parte della nostra tribù, e cercavano di vivere solo delle loro passioni, della scrittura e della lettura. E in qualche modo hanno trovato il modo di farlo. Non solo non li condanno, ma li capisco e qualche volta li apprezzo e li ammiro.

Il problema, però, sta a monte: se il nostro aspirante scrittore ha prodotto qualcosa di buono, ma per un qualche motivo (vedi problema tre, qui sotto) il suo lavoro rimane confinato nell’oblio perché per il “mercato” il nostro scrittore diviene più soggetto consumatore che nuova voce creativa, tutto questo mondo che gli gravita attorno perde completamente significato. E non basta la piccola percentuale di quelli che “ce la fanno” a giustificare il costoso mercato dei sogni.

Problema numero tre: l’editore non è più operatore culturale e azienda contemporaneamente, ma solo azienda. Chi vi scrive rimane legato alla visione romantica dell’Einaudi anni cinquanta e sessanta, l’Einaudi di Pavese e Calvino. Era quella un’epoca in cui il mestiere di editore, senza rinunciare alla inscindibile componente “commerciale”, era anche consapevole operatore e produttore di cultura. Cesare Pavese, per esempio, respinse il manoscritto di Primo Levi considerandolo poco commerciale, ma allo stesso tempo portò avanti la pubblicazione della “collana viola”, con la pubblicazione di opere fondamentali nel campo dell’antropologia, del folklore e della mitologia. Un catalogo che oggi rimarrebbe confinato nell’oblio.

Come sceglie il catalogo oggi il grande editore? Il primo influencer che giunge ad un numero accettabile di follower, magari dai 50.000 in su, vede aumentata enormemente la sua possibilità di vedere pubblicato un suo libro (quale che sia!) dalla grande editoria. Il prodotto conta poco, conta il mercato potenziale di riferimento.

Questo non toglie che molti ragazzi che arrivano ad un grande pubblico siano veramente in gamba e abbiano trovato un modo di comunicare qualcosa in modo efficacie e originale. Ma è la sequenza della selezione a non funzionare nel produrre qualità: la quantità viene prima del contenuto.

I book influencer fanno parte dell’indotto di questo mondo. Il “mercato” è stato capace anche di inquinare la genuina passione di tanti ragazzi per la lettura. Se la nostra lettrice ventenne, avida lettrice capace di incantare il pubblico con il racconto delle sue notti insonni su romanzi introvabili, viene lusingata dall’idea di essere pagata dalla grande editoria per “recensire” i libri, ecco che il suo sogno si è avverato. Può vivere dei suoi sogni. Ma ha perso la spontaneità e la libertà. Non sono le sue passioni a muovere il suo lavoro, ma il riconoscimento delle “collaborazioni”.

Vale ancora una volta la precisazione che ho fatto sopra: se questi ragazzi hanno fatto della loro passione un mestiere, è anche giusto in qualche modo che riescano a camparci. È il meccanismo che non va, non loro.

Probabilmente, come tutte le novità, anche l’editoria di massa del self publishing troverà una sua dimensione di equilibrio nel futuro; magari le storture che ho indicato sopra si attenueranno in qualche modo.

Se al contrario questa rivoluzione democratica mancata rimarrà solo un’illusione, il ruolo sociale e culturale dell’editore tradizionale rimarrà, e in qualche modo gli operatori del settore dovranno tornare a farsi carico del ruolo di produttore di cultura con più consapevolezza.

Nota. Scrivo queste note da Tokyo, dove sono tornato per scrivere un secondo libro – come già feci l’anno scorso -, un libro che andrà ad ingrossare il mercato dei sogni mancati, molto probabilmente. Eppure, in qualche modo, l’impulso alla scrittura rimane a prescindere dal risultato di notorietà. Per quanto si sforzi di razionalizzare il mondo, lo scrittore rimane irrimediabilmente una figura romantica?

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