Vampiri e folklore

La vera storia di una credenza popolare

Prima di DraculaForse una prima elementare classificazione che ci viene naturale è quella tra vero e falso, e, per riflesso, tra reale o irreale. Non è difficile capire come dietro a questa semplice dicotomia stiano importanti presupposizioni filosofiche che guidano molte delle nostre scelte nella vita di tutti i giorni. È vero, però, che separando così nettamente i due mondi, del vero e del falso, del reale e dell’irreale (che estenderemo all’immaginato) rischiamo di trovarci problemi più impegnativi di quelli che pensiamo di aver risolto. Un esempio tradizionale: è vero un unicorno? No, certo. E allora di cosa parliamo, quando parliamo di un unicorno? Pure essendo di fantasia, è un animale di cui non solo possiamo parlare, ma che possiamo rappresentare, di cui possiamo narrare le vicende. Quindi, in qualche modo, parliamo di qualcosa che “esiste”.

Lasceremo da parte questi problemi di ontologia (così si chiama quella parte della filosofia che tratta problemi come “Cosa esiste?” e “In che termini?”) per dedicare la nostra attenzione all’immaginato, o meglio all’immaginario.

Da sempre l’immaginario accompagna la vita sociale e individuale della nostra specie ed è servito a fornire spiegazioni di fenomeni altrimenti incomprensibili, più recentemente a divertire e intrattenere,  a sublimare passioni che in un certo modo venivano ritenute pericolose.

Il folklore popolare, infatti, raccontando di esseri immaginari e facendoli agire nel consorzio umano, ha in epoche remote assolto alla prima funzione, mentre più recentemente ha agito come valvola di sfogo, sia essa a fini di divertimento o sublimazione.

Uno dei personaggi dell’immaginario che in questi ultimi decenni è tornato di moda (ma forse lo è sempre stato) è il vampiro.

Gli antropologi suddividono questa figura in due categorie: il vampiro “letterario” e il vampiro “folklorico”. La prima è quella che tutti conosciamo e che ha assunto la sua forma, le sue caratteristiche esteriori e comportamentali, grazie alla letteratura e al cinema, a partire dall’archetipo del Dracula di Bram Stoker. La seconda, quella del vampiro “folklorico”, è per così dire la figura “vera”, quella creata spontaneamente dalle credenze popolari.

Ma dove nasce il vampiro? L’associazione geografica a cui ci porta l’idea del vampiro letterario dovuta al citato Stoker è quella tra vampiro e Transilvania, nota regione storica dell’attuale Romania.

Tuttavia, a una serrata indagine delle fonti (ce ne parla un interessante libro, molto documentato, dello studioso di antropologia del mondo classico, Tommaso Braccini, che ci descrive come questa figura sia nata: Prima di Dracula. Archeologia del vampiro. Il Mulino, Bologna 2011, l’edizione che ho letto io), veniamo a sapere che il vampiro, citato anche nelle fonti greche e latine di epoca medievale e detto vrykolakes, è molto probabilmente un’invenzione slava e in particolar modo balcanica. Ciò non toglie che le varie etnie romene (neolatine e non slave) abbiano parallelamente sviluppato credenze analoghe, vista la loro immersione nel mare etnico slavo che li circonda da sempre. Parole più o meno specifiche per descrivere questi cadaveri di non-morti, però, compaiono innanzitutto in tutte le lingue slave, anche non balcaniche, comprese lingue come il russo e il polacco. E i termini usati dalle fonti greco-bizantine e medio-latine sono di origine slava.

Una delle usanze che avrebbe favorito la nascita di questo personaggio folklorico sarebbe la cosiddetta “doppia sepoltura” in ambito slavo, vale a dire la pratica di spostare il cadavere dopo un certo tempo dopo la morte. Questa pratica faceva sì che le popolazioni entrassero in contatto con i corpi anche molto tempo dopo la morte e la prima fase di preparazione e sepolura. Trovandosi qualche volta di fronte a cadaveri “diabolicamente” conservati, in posture anomale e con traccie di sangue liquido (in realtà liquefazioni di origine putrefattiva), le persone associavano talvolta questi morti a incidenti misteriosi, al vagare dei cadaveri di questi non morti che venivano quindi distrutti con i metodi che sono transitati anche nella nostra visione di vampiro letterario: dal paletto, alla decapitazione e al rogo del cadavere.

In realtà, come la conoscenza scientifica ha scoperto, i fenomeni cadaverici descritti da queste testimonianze sono nella maggior parte dei casi molto comuni in certe condizioni, e non costituirebbero quell’eccezionalità di conservazione del cadavere che indicherebbe un vampiro. Ma era proprio la riesumazione singola e scaglionata nel tempo e l’ignoranza dei meccanismi chimico-biologici coinvolti a far considerare questi cadaveri “floridi” e ben conservati come opera di forze oscure.

Quanto il vampiro letterario è ben definito e individuato, tanto il vampiro folklorico è “debole” e contaminato da altre figure del folklore: streghe, spettri, lupi mannari, indemoniati. Forse ciò è dovuta alla sua comparsa tarda, in epoca medievale, e al suo riempire “buchi” interpretativi di fenomeni che nelle credenze popolari avevano già una loro causa, per quanto immaginaria. Anche una delle sue caratteristiche più note, l’ematofagia (cibarsi di sangue) è tarda, scarsamente attestata nelle fonti medievali e dovuta più alla letteratura tardo-gotica e al cinema che al folklore.

Altra differenza molto importante tra la figura letteraria e folklorica, è l’immediato aspetto esteriore del vampiro: non un affascinante e misteriose amante notturno, ma un ruvido contadino, una sorta di zombie deformato dai segni della morte, semi-putrefatto, terribile e feroce, che qualche volta ignora completamente di essere morto e compie il male senza volontà.

Va detto, però, che la legittimità della rielaborazione letteraria trova il suo fondamento nella funzione diversa di questo personaggio che, come già accennato, è quella di intrattenimento o, nella più nobile delle ipotesi, di figura che ci serva per raccontare efficacemente passioni umane.

Quest’ultima funzione, però, riconduce in parte il vampiro letterario al suo antenato folklorico: anche i terrificanti e deformi cadaveri ambulanti di contadini avvistati nei villaggi sperduti dei Balcani raccontavano di una passione umana. Anzi, una delle passioni più forti: la paura della morte.


Questo testo è una “nota di lettura” di qualche anno fa che ripubblico nel 2024.

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