Il J-pop e le danze Kagura (神楽)

La performance artistica come cuore (“timido”) della cultura giapponese

462573161_1111780793674591_6703881592804725701_nAll’inizio pensavo che il J-pop fosse solo una variante regionale del pop internazionale, con qualche peculiarità che lo rendeva diverso, come la lingua utilizzata e qualche raro richiamo alla musica tradizionale. In particolare, mi pareva che quel genere che racchiude band di ragazzine saltellanti che spesso cantano in coro, ricorrendo a stili, abiti e espressioni del noto linguaggio del “kawaii”, potesse considerarsi un genere emblematico del J-pop. In realtà, qualche riflessione sul passato, sulla storia culturale del paese, mi ha dato qualche spunto per vedere un po’ più in profondità questa variante giapponese del pop internazionale.

I giapponesi si indispettiscono quando gli stranieri li definiscono timidi. È una definizione inflazionata, uno stereotipo ricorrente. Ma per il modo di interagire occidentale, è vero, così ci appaiono. Tuttavia, da sempre la cultura giapponese ha dato grande valore alle arti performative, al teatro e alla musica, alla poesia. Non è scontato: ci sono culture più “artistiche”, altre più “filosofiche”, o più pragmatiche.

Ma come possono essere compatibili esibizioni di danza e performance canore, in cui si sta al centro dell’attenzione, con una timidezza antropologicamente determinata? Ho sentito dire di recente, parlando del “tipo psicologico” introverso a proposito della filosofia di Jung, che l’artista è essenzialmente un introverso. Tipi psicologici più “esterni” non hanno la necessità di esternare in arte, musica, danza, poesia, il loro mondo interiore perché traggono piacere dal rapporto che hanno direttamente con l’esterno. Prendo per buona questa osservazione, seguendone soprattutto la suggestione.

Quindi, deformando vergognosamente a mio uso e consumo Jung (in questa sua versione semplificata), possiamo affermare che i giapponesi sono ottimi performer nella danza e nella musica perché sono tendenzialmente introversi e timidi. Certo, è una semplificazione delle semplificazioni, ma qui non sto scrivendo un saggio di psicologia o di sociologia, voglio solo suggerire uno spunto di riflessione.

Qualche giorno fa ho visitato nuovamente un noto negozio di dischi a Shibuya, una delle aree più note di Tokyo. Il Giappone è una delle poche economie avanzate ad aver mantenuto la vendita di CD e dischi a livelli molto alti, anche dopo che la rivoluzione della musica via web ha praticamente azzerato l’industria musicale della vendita fisica di album musicali. Infatti, i negozi di musica sono molto diffusi e molto frequentati, anche da ragazzi piuttosto giovani, sicuramente a loro agio con le nuove tecnologie e con il web.

Stamattina (scrivo questo testo alla fine di novembre 2024), sento una musica venire dal piazzale che affianca il fiume Kanda, nel quartiere di Nakano. Apro la finestra e vedo un gruppo di sei ragazzine che, filmandosi probabilmente per TikTok, esegue una serie di performance di danza molto curate, con un sincronismo perfetto. Avranno 18-20 anni e ballano, per quanto me ne intendo, come ballerine professioniste, incuranti dei passanti che scorrono lì a fianco. Sono rimaste almeno due ore, serie e decise, a provare e riprovare.

E allora? Si dirà, tutto il mondo è paese. Ci fai tutta sta filosofia per delle ragazzine che ballano? No, in Giappone le arti e la musica sembrano avere un’importanza maggiore, qualcosa che affonda nell’anima della storia e della cultura di questo paese. Lo si nota spesso, vivendo un po’ qui.

Il rito, nella religiosità tradizionale (Shinto), si esplicava e si esplica anche in performance di danza e canti. Le danze sacre Kagura (神楽), parola che significa “musica degli dei”, vengono eseguite durante rituali religiosi per onorare e invocare i kami. Si eseguono ancora oggi, ma si perdono nella notte dei tempi, nella letteratura delle origini e nel mito.

Il cerchio si chiude: sono riuscito a mescolare in un calderone perlomeno dubbio, antropologia, mito, J-pop, psicologia junghiana e sociologia da bar. Eppure, mi pare che qualcosa di profondamente significativo ci sia in questo… calderone.

 

 

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