Le parole del silenzio di Michele Prisco (1981)
Michele Prisco era considerato un autore importante della letteratura italiana del dopoguerra. La sua lunghissima carriera letteraria, iniziata nell’immediato dopoguerra, si è protratta fino alle soglie del nuovo millennio, con esiti altalenanti per quanto riguarda la fortuna editoriale dei suoi libri. È stata invece la cosiddetta “fortuna postuma” a non rendere giustizia a questo autore: oggi sono davvero poche le sue opere ancora reperibili sul mercato, riedite di recente. Qualche tempo fa, cercando tra gli autori del secondo “Novecento italiano dimenticato”, avevo inserito Prisco tra le mie letture. Per vie fortuite (libri ereditati), alcuni anni fa sono entrato in possesso di alcuni suoi romanzi e il primo che ho deciso di leggere non è stato il suo più famoso e, a quanto pare, il più importante (Una spirale di nebbia, Premio Strega 1966), bensì un’opera relativamente tarda: Le parole del silenzio.
Si tratta di un romanzo uscito nel 1981 e, devo dire, all’inizio non è stata una lettura facile. Chiariamoci: Prisco adotta una prosa elegante, anche se involuta, un bello scrivere che sa di tempi passati. Sono i temi e lo stile a rendere la lettura inizialmente lenta.
Lenta, ma intensa. Le parole del silenzio è la storia intima di una famiglia campana, di un trio amoroso tra Cristina e i fratelli Graziano e Stefano, una vicenda che si sviluppa dalla giovinezza fino alla maturità. Ma la storia non ha nulla di strettamente sentimentale o erotico (scordatevi completamente il cosiddetto romance).
Prisco sviscera, con un periodare denso e penetrante, l’interiorità dei suoi personaggi. I loro pensieri e le loro emozioni si riflettono nell’ambiente in cui si muovono, ma vengono anche esplicitati da una voce narrante che non disdegna di penetrare e mostrare in presa diretta il loro cuore.
Ne deriva una progressiva scoperta degli avvenimenti. Siamo infatti catapultati nel mezzo dell’azione e inizialmente non comprendiamo cosa sia successo: il romanzo si apre con la morte di uno dei tre protagonisti, e la storia che segue è un viaggio a ritroso nel tempo.
La poetica di Prisco è una poetica dell’intimità, della vita di piccoli gruppi di individui che si muovono in una provincia piena di illusioni, alla ricerca della propria felicità. Cristina, Stefano e Graziano spesso rivendicano il loro diritto a cercarla quella felicità, pur consapevoli che sarà forse impossibile trovarne una duratura.
L’altro polo umano della poetica di Prisco è la contraddizione: abbiamo determinati desideri ora, ma poi, nel futuro?
Intanto, la Storia (con la “s” maiuscola) resta sullo sfondo. Forse Prisco sentiva un po’ la pressione nei suoi anni migliori: in fondo, vinse lo Strega nel 1966, quando la letteratura era anche politica, diretta o indiretta. Tuttavia, continuò a perdersi in questi micro-mondi intimi, forse per difesa da un mondo che si rendeva conto di non poter cambiare.