La montagna incantata di Thomas Mann
Racchiudere in uno spazio come una “scheda di lettura” La Montagna incantata di Thomas Mann potrebbe risultare un azzardo. L’opera, infatti, si caratterizza anche per una certa mole fisica, visto che nell’edizione Corbaccio arriva a quasi settecento pagine. Non è stata certo la mole, però, ad averne decretato l’importanza letteraria fin dalla pubblicazione e, successivamente, a farla transitare nell’Olimpo dei classici. L’opera di Mann, d’altra parte, necessita anche di una certa mole di pagine che, nella narrazione, diventano quantità di tempo. Vedremo perché. Racconto lineare, con intreccio ridotto al minimo, La Montagna incantata è la storia del giovane ingegnere tedesco Hans Castorp, poco più che ventenne, che arriva in una celebre stazione di cura in alta montagna, sulle alpi Svizzere: il Berghof. Siamo negli anni antecedenti la Grande Guerra. Gli echi della Belle Èpoque si stanno spegnendo. Castorp arriva per far visita al cugino e si propone di rimanere tre settimane. Le cose non andranno così.
Il protagonista, infatti, si ritrova malato e riceve la proposta di rimanere al Berghof per curarsi. Inizia, lenta, la scoperta della vita straniante vissuta da tutti lassù. Routine di cura che assumono la forma di veri e propri rituali e che, sul lungo periodo, calano l’individuo in una dimensione autonoma e distaccata dal mondo, dal “piano”, laggiù.
Malati immaginari e malati reali (morenti e che muoiono, ma che non scalfiscono la vita ritualizzata degli abitanti) fanno da sfondo alle giornate di Castorp e di suo cugino. Qualche personaggio assume ruoli importanti di coprotagonista nel corso della narrazione. Due su tutti: Claudia Cauchat, giovane russa del quale Castorp si innamora, ma presenza più pensata che reale (si rivolgeranno la parola solo intorno a pagina 320!), e il ben più importante Lodovico Settembrini. Figura di italiano stereotipato all’inizio, Settembrini finisce per svolgere un importante ruolo nel corso del libro; a tratti innegabile voce dell’autore. Egli, intellettuale progressista, oratore incredibilmente abile e colto anche nella lingua tedesca, diviene consapevolmente mentore del giovane Castorp che accetta il suo ruolo di allievo, non senza cercare propri spazi di autonomia. Settembrini mette in guardia il ragazzo da quell’ambiente, per lui, “adepto della vita”, foriero di guai e tempo rubato.
Lo stesso Mann andava sostenendo che La Montagna incantata è un romanzo sul tempo (erano in voga le teorie di Henri Bergson che avranno un grande influsso sulla letteratura). Ed in effetti il tempo domina il romanzo, scorrendo lentissimo. Non succede quasi nulla (qualche fatto importante ma che lasciamo scoprire al lettore), producendo nel lettore la sensazione di penetrare in una dimensione a sé. La montagna incantata appunto. Appesantisce e impreziosisce ad un tempo la narrazione, il fitto dialogare filosofico di Settembrini con Castorp ed altri personaggio del libro. Va detto che per rendere la qualità del mutamento interiore del protagonista, Mann sceglie volutamente di dilungarsi con pagine dense di tenzoni filosofiche, sociali e politiche. A tratti, tuttavia, molto suggestive e illuminanti, comunque necessari all’economia del romanzo.
Arrivato per rimanere tre settimane a Berghof, Castorp finisce per rimanervi sette lunghi anni. Mutato profondamente e con una visione della vita molto più complessa e problematica rispetto al suo arrivo.
Il lettore scoprirà che da dove venga, dove vada e quale sia la fine del protagonista, non importa molto. Non risiedono lì i fondamenti del libro e non consiste in questi fatti di struttura narrativa il valore letterario dell’opera. Conta, invece, il percorso tutto interiore che Castorp intraprende lassù, nel corso di lunghi anni trascorsi in una dimensione surreale. E conta, diciamolo ancora, il dispiegarsi interiore/esteriore del tempo. Un percorso quasi iniziatico che l’autore, forse, vorrebbe far intraprendere anche al lettore.