Ipocrisie borghesi

Revolutionary Road di Richard Yeats

rev.jpgDiventato famoso al grande pubblico dopo l’uscita dell’omonimo film del 2008 (con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet), Revolutionary Road di Richiard Yeats rientra a pieno titolo nei classici del romanzo americano contemporaneo. Aggiungiamo, con una punta di snobismo, che coloro che conoscono le letterature europee spesso stentano a capire la “grandezza” attribuita dagli stessi americani ad alcuni loro autori (tra i quali il sopravvalutato Francis Scott Fitzgerald). Questo deprecabile atto di superbia critico-interpretativa dei lettori del Vecchio Continente non riguarda, però, il romanzo di Yeats. Questo ipotetico lettore, infatti, coglie immediatamente il valore artistico di Revolutionary Road.

Pubblicato nel 1961, è ambientato negli anni Cinquanta. È l’America perbenista e bianca, costruita su una società di apparenze basate su una rassicurante esteriorità borghese: una balla casa, un buon lavoro, un matrimonio e una vita famigliari in apparenza felici, che sotto covano i prevedibili tradimenti abilmente celati o consapevolmente ignorati, e sottaciute disillusioni. Una società che vive costantemente una finzione scenica.

La società perbenista americana dell’epoca (come di ogni epoca del resto) irregimenta la vita degli individui e, sopprimendo il desiderio del perseguimento di sogni che fuori escano dagli schemi dei valori borghesi, nega la possibilità di un’espressione individuale, portando ad una infelicità sotterranea.

Ne sanno qualcosa i coniugi Wheeler, Frank e April, protagonisti del libro. È la moglie April che, forse più coraggiosa e sensibile del marito, cerca di spingere Frank ad andare oltre quelle vita di apparenze, e aver il coraggio di seguire le proprie passioni e inclinazioni, anche a costo di sacrificare la sicurezza e la tranquillità. Il progetto di trasferimento in Europa, però, naufraga in seguito ad un vantaggioso avanzamento di carriera di Frank. L’evento rompe l’armonia della coppia e determina una serie di eventi dalle tragiche conseguenze.

Decisamente più rassegnati ad una vita di apparenza paiono i Campbell, vicini della famiglia Wheleer. In tutto questo gioco di ruoli, è solo il figlio dei Campbell, un giovane chiaramente folle che non è in grado di astenersi dal dire la verità, a squarciare il velo della finzione.

Come sovente in queste notarelle di lettura (che non sono né recensione, né lettura critica, ma fulmineo spunto di riflessione), non ci dilunghiamo troppo sulla trama.

A ragione Revolutionary Road è divenuto un romanzo di culto (non ebbe un grande successo tra i lettori all’epoca, ma la critica che ne colse subito il valore letterario). Emblema di un’epoca della storia americana caratteristica, coglie, come sempre fanno i capolavori, lo spirito del tempo e lo rende universale.

La società americana, e in genere occidentale post-Sessantotto si era parzialmente emancipata da quel pesante perbenismo descritto in Revolutionary Road. Ma a distanza mezzo secolo, dopo decenni di spensierato liberismo (che si sarebbe poi rivelato “da bancarotta”), il lascito che ci rimane di quell’emancipazione è solo apparente. Anzi, nel torno di tempo di questi ultimi decenni che vede le crisi politica delle democrazie occidentali, l’esigenza di un ritorno a presunte tradizioni e presunti valori che ci riportino a effimere sicurezze, ammanta ancora di più il nostro presente di quella ipocrisia che pensavamo di aver seppellito per sempre. Ecco perché Revolutionary Road è tanto attuale. Ci svela cosa si nasconde dietro quella finzione.

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