Funambolici pop-miscugli musicali asiatici

Il rapper malese-cinese Namewee: uno sguardo pop-antropologico sull’incredibile vitalità musicale della giovane Asia

nameweeNel tempo delle ossessioni per il recupero di “radici” culturali (inventate), se ti imbatti in artisti come Namewee puoi perdere il senso dell’orientamento. Giovane artista malese di grande fama nel Sud-est asiatico, canta in cinese, sua lingua madre insieme al malese, e in varie altre lingue. Scrive canzoni dal gran piglio ironico (qualche volta vicino ai nostri Elio e le storie tese), e si diverte a prendere in giro in modo affettuoso, cambiando lingua all’occorrenza, i vari popoli di quell’area di mondo. Ridi e scherza, macina milioni di visualizzazioni su Youtube. Finge spensieratezza, ma si coglie, qua e là, una sua visione politica che… dovrete scoprire da soli.

Nei decenni scorsi andava di moda un termine, Melting Pop. Quella parola, ormai passata di moda, stava ad indicare un “amalgama eterogeneo di gruppi, individui e religioni, molto diversificati tra loro per ceto, condizione, appartenenza etnica, che convivono entro la stessa area territoriale geografica e politica.” (Treccani). La Malesia è certamente una società Melting Pop: uno stato in cui convivono etnie e lingue diverse; ma tutta la macro area del Sud-est asiatico è un brulicare di diversità che si incontra, si scontra, e produce novità. L’elemento malese-indonesiano si mescola a minoranze provenienti dall’estremo oriente, stanziali ormai da secoli, a cui si aggiunge una forte presenza, spesso stabile, di occidentali. Soprattutto in aree come Singapore e Kuala Lampur.

Quest’area del mondo, oltre tutto, continua a caratterizzarsi per avere ancora economie performanti, frutto anche di un’esuberante demografia. Una terra di giovani pieni di speranza del tutto ignota all’auto referente occidente.

Ed infatti, anche nel consumo culturale “leggero” l’Asia sta piano piano emancipandosi dall’influenza europea ed americana, e ha cominciato a produrre in proprio una nuova cultura. Pionieri furono i giapponesi, sempre capaci di rielaborare in modo unico quanto vanno assimilando dall’esterno. Poi sono arrivati gli onnipresenti cinesi, e sappiamo come andata. Tra i più influenti artisti nel panorama mondiali si annoverano, tra l’altro anche artisti cinesi.

Il mio intento sarebbe quello di applicare il metodo “Umberto Eco”, vale a dire applicare ai prodotti della cultura di massa i mezzi di analisi e di interpretazione della linguistica, della filosofia e delle scienze sociali. Ma questo nobile intento mi porterebbe a scrivere un articolo serio, mentre qui vorrei solo dare uno spunto ben preciso: esiste un mondo, là fuori, distante dallo stanco occidente, che non ha tempo di lamentarsi e chiudersi, e che dovremmo conoscere meglio. Io penso che il punto forte di questa realtà socio-culturale sia proprio la mescolanza, il frutto più maturo e utile di una globalizzazione che, guardando solo alla mobilità dei capitali ci è diventato antipatico, ma che ha avuto, nonostante tutto, il merito di far uscire milioni di persone dalla soglia della povertà e ha reso possibile il dinamismo asiatico di questi decenni. Un’occasione, non certo una minaccia.

Ma torniamo al folle Namewee. La prima canzone che mi è capitata sotto gli occhi è MakuDonarudo (vale a dire McDonald’s la nota catena di ristoranti); hit visualizza in breve tempo da 83 milioni di persone. Il dissacrante Namewee prende in giro gli amici giapponesi, e in particolare il loro modo, grottesco ma unico, di giapponeserizzare la lingua inglese. Questo ha determinato un massiccio ingresso nel vocabolario quotidiano di termini inglesi, ma non nel senso consueto alle lingue europee. I fantasiosi giapponesi mutano la fonetica della lingua dalla quale prendono in prestito i vocaboli e ne fanno una lingua nuova, una sorta di jappenglish, a tratti comico, ma molto espressivo. Namewee, in compagnia dell’immancabile bella fanciulla autoctona, si presenta come straniero in terra del Sol Levante, esibendo la sua conoscenza stereotipata del contesto nipponico e prendendosi bonariamente gioco di quel miscuglio di inglese giapponesizzato.

Questo processo di dissacrazione Namewee lo ripete in varie canzoni (in Thai Love lo vediamo turista alle prese con un fulmineo amore per una bellezza locale).

La vocazione cosmopolita e multiculturale di Namewee incontra consenso perché descrive una situazione diffusa, una presa di coscienza di un dato di fatto di quell’area di mondo. A vedere quell’allegria dissacrante, anche frutto di una certa giovinezza demografica, viene da chiedersi se la vecchia Europa non debba forzare il suo nobile esperimento politico-utopico di un’unione nella diversità, spingendo sul tasto dell’interazione e della contaminazione. Mescoliamoci.

Ecco i link delle canzoni citate:

https://www.youtube.com/watch?v=zhGnuWwpNxI

https://www.youtube.com/watch?v=YaZ5eV9BEX8

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