La sofferenza (commovente) della giovane Aya

Un litro di lacrime di Kitō Aya

KitōAyaAya aveva quattordici anni quando cominciò a tenere un diario. Poche pagine di quell’anno, caratterizzate da una leggerezza spensierata tipica dell’adolescenza; ma quella spensieratezza sarebbe finita presto. A quell’età i problemi dell’esistenza avrebbero dovuto essere i primi amori, i primi tentativi di capire il proprio ruolo nel mondo, il timore – ma anche la speranza – per il futuro. La giovane Aya non ebbe tempo per tutto questo. All’età di quindici anni la sua andatura cominciò ad essere incerta. Quella che sembrava una cosa da nulla, risultò essere l’inizio di un calvario di sofferenza e incertezza che avrebbe portato la ragazza alla morte nel giro di pochi anni. Un destino tremendo proprio perché inaspettato.

“Un litro di lacrime” è il breve diario di questo calvario. Un libro commovente che induce al pianto spontaneo anche il lettore. Raramente ricordo una tale commozione nella lettura di un libro. Sovente ho dovuto interrompere la lettura, io stesso sorpreso dal pianto.

Non vi aspettate rassegnazione o autocommiserazione. Aya è determinata, si impegna con energia e tenacia. Spera che gli esercizi di riabilitazione e le cure sperimentali possano almeno ritardare il declino del suo corpo. Non mancano, in un costante andamento di alti e bassi, momenti di sconforto, di rimpianti per una giovinezza che risulta impossibile da vivere, il ricordo di un corpo sano e normale che ha ceduto il posto alla malattia. Ma quello che veramente muove il cuore del lettore sono gli impeti di vita della ragazza, determinata a vivere fino alla fine.

La vicinanza della famiglia, l’aiuto dei compagni di scuola, se da un lato la fanno sentire amata, dall’altro fanno sorgere in lei un senso di colpa per il disturbo che arreca loro. Un tratto tipico, forse, della mentalità della società giapponese in cui cresce la ragazza, caratterizzata dall’impegno a non arrecare disturbo al prossimo.

Dopo i primi problemi di deambulazione, la condizione di Aya precipita nel giro di due o tre anni. Prima la sua andatura si fa curva. Cade spesso, ferendosi, rompendosi i denti, coprendosi il corpo di lividi. Cade, ma si rialza. Piange, ma poi si pente, rimprovera se stessa, e cerca di farsi coraggio. Poi la malattia, inesorabile, comincia ad intaccare i muscoli motori che governano la fonazione e l’espressione del suo bel viso: comincia a far fatica a parlare, a deglutire. Se non sta attenta rischia di soffocare. Ormai si muove su una sedia a rotelle, deve essere aiutata anche nei momenti intimi e nell’igiene del corpo. La mamma e la sorella entrano nella vasca con lei, in pantaloncini, e l’aiutano a lavarsi. Ma nei periodi di ricovero sono estranei a doversi occupare di lei. Sente vergogna, ma non può fare altro che rassegnarsi a quella condizione.

Le sue illusioni e disillusioni contribuiscono a rendere il quadro più angosciante per il lettore. Nei primi anni Aya si rende lentamente conto che non potrà avere una vita normale, ma ancora nutre la speranza che in qualche modo potrà avere un’occupazione adatta alla sua condizione, una vita adulta parzialmente indipendente, anche se molto limitata. Una volta arriva a chiedere anche alla dottoressa Yamamoto, la sua figura medica di riferimento, se potrà mai sposarsi e avere figli. Ci si rende conto a quel punto che solo dall’esterno, dal nostro occhio carico di pregiudizio e in assenza di disabilità, la vita interiore di chi è affetto da queste gravi patologie ci pare ripiegata interamente sulla malattia stessa. Non è così: Aya vorrebbe lavorare come tutti gli altri, vivere e amare. Sarebbe disposta ad arrivare anche a compromessi, ad accettare una vita a ribasso. Ma anche quella le è preclusa.

Negli ultimi anni la ragazza è completamente paralizzata a letto. Non è più in grado di parlare, se non segnando su una tabella i caratteri che compongono la parola. Non scrive il suo diario ormai da anni, ma è ancora perfettamente consapevole.

Si spegnerà all’età di ventisei anni, dopo una vita-non vita. Un’esistenza in apparenza insensata e carica di sofferenza, ma anche esemplare per noi che l’ascoltiamo, narrata dalla sua stessa voce: la sua sensibilità e la sua forza di volontà rimangono a lungo nella memoria del lettore e, banalmente, ci costringono a rallegrarci di quello che abbiamo e diamo per scontato.


Il libro, già pubblicato per Rizzoli, è uscito nuovamente nella collana La grande letteratura giapponese edita dal Corriere della Sera (2021); la malattia di Aya è l’atassia spinocerebellare.

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