Ueda Akinari, Ugetsu monogatari
In tutte le epoche e in tutte le culture pare siano presenti quelli che in italiano chiamiamo “fantasmi”. Una precisazione, quella linguistica, da non sottovalutare, perché effettivamente la condizione dello spirito della persona dopo la morte influisce anche sul suo status e sulla terminologia che lo definisce. Lo “spettro” come anima rimasta nell’aldiquà si definisce spesso con una parola specifica. Il fantasma, infatti, non è la semplice anima di una persona che ha cessato di vivere, ma un morto insoddisfatto che per qualche ragione rimane legato ai luoghi in cui visse da vivo. Tema del folklore, e sovente tema letterario. Il romanticismo, in particolare, rilanciò le storie di fantasmi conferendo loro una certa dignità letteraria. Questo tipologia narrativa non riuscì a superare la barriera che divide quella che viene definita letteratura di genere dalla letteratura cosiddetta alta, ma appassionò anche autori di prim’ordine come Charles Dickens e Henry James.
La raccolta dello scrittore giapponese Ueda Akinari (1734-1809) intitolata Ugetsu monogatari (letteralmente, “racconti di pioggia e di luna” 雨月物語 ) appartiene ad una tradizione diversa da quella appena nominata del romanticismo europeo, ma testimonia l’interesse per gli spiriti inquieti anche dall’altra parte del mondo.
L’opera, uscita nel 1768, è una racconta di nove racconti di varia ambientazione che narrano l’incontro dei protagonisti con fantasmi. Il colto Ueda, che conosceva bene la letteratura classica cinese, crea racconti che si ispirano spesso alla stessa letteratura classica cinese, per secoli modello della classe colta giapponese, e al ricco folklore nipponico.
La figura mitico-folklorica del fantasma declinata dalla cultura giapponese presenta alcune caratteristiche peculiari. Il fantasma, come dicevamo, è universalmente una figura vendicativa e insoddisfatta, rimasta sulla terra per vendicare i torti subiti. In questo specifico contesto (la società tradizionale giapponese soggetto dei racconti di Ueda), influisce uno specifico rapporto tra i generi nella società tradizionale. Non di rado il fantasma è quindi una figura femminile, un’amante o una moglie tradita e abbandonata che, in forma di spettro spaventoso, assume poteri soprannaturali in grado di creare intorno a sé morte e terrore. Tanto devota e remissiva in vita, quanto furente e compiaciuta di terrorizzare chi ha causato il suo dolore dopo la morte. La figura della donna spettro è l’altra faccia della medaglia della dama colta e raffinata presente in tante opere della letteratura classica giapponese (spesso una figura alla cui elaborazione letteraria contribuirono anche le stesse donne). Nella sua versione terrifica la donna spettro riprende gli attributi tipici che il contesto antropologico ancestrale assegna alla donna, una figura di collegamento tra natura e società umana in tutte le culture del passato.
Non a caso, infatti, gli spiriti-volpe che popolano la letteratura giapponese, talvolta benefici, altre volte ingannatori e maligni, assumono la forma di bellissime donne pronte a raggirare il malcapitato. L’essere “ingannati dalle volpi” è un topos frequente della letteratura e del folklore (anche qui, un altro recupero dalla letteratura cinese classica).
Le suggestioni dei racconti di Ueda Akinari si imperniano su queste inquietudini soprannaturali, ma senza eccessiva sfumatura terrifica. La natura e il contesto notturno, con la sua luna pallida e i silenzi delle tenebre, sono uno sfondo costante dei racconti. Al momento del terrore della rivelazione, si bilancia più spesso un senso di malinconia e desolazione che conferisce all’Ugetsu monogatari una paradossale dolcezza stilistica che non troverete nei corrispettivi racconti di fantasmi nella letteratura occidentale.