L’estetica (disturbante) del disgusto

Blu quasi trasparente di Ryū Murakami

Blu quasi trasparenteUn gruppo di giovani ragazzi, intorno ai vent’anni. Trascorrono le giornate e le notti in raduni di sesso estremo, di consumo smodato di alcolici, di droghe di ogni tipo. Vivono vicino ad una base americana, nel Giappone degli anni Settanta che qualcuno, con polemica, definisce  in tutto e per tutto colonia statunitense dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma la base è anche il motivo per cui soldati afroamericani, presentati con avida sazietà, si aggirano per la città e se la spassano con le giovane ragazze giapponesi. Le personalità dei personaggi sono in apparenza poco sviluppate in profondità: ragazze e ragazzi sembrano bambole insensibili in balia dei loro vuoti che, banalmente, riempiono di droghe, sostanze alteranti di ogni qualità allora nota. Ed anche il sesso diventa violenza consenziente, in un convivio animalesco descritto con una freddezza che quasi ci spaventa. Eppure si tratta di una narrazione in prima persona. Chi è il giovane Ryū che parla? Cosa sappiamo di lui? E degli altri? Delle ragazze, degli altri tossici? Poco o niente.

Blu quasi trasparente, come si dice sempre parlando a proposito di questo libro, fu un caso editoriale che destò un certo scandalo nel panorama letterario della fine degli anni Settanta. Non che fosse mancato nel passato questo insieme di “amoralità”, di sesso, di perdizione in letteratura. Nessuno era così ingenuo da crederlo. Ma quell’amoralità era già una chiave di lettura, una sorta di accusa, perché metteva in luce le ombre che il Giappone del miracolo economico stava occultando sotto la patina del benessere e del consumismo, sotto l’alibi del successo economico internazionale. Quel successo stava portando il paese a diventare la seconda potenza economica del pianeta, ma non aveva dato la felicità ai suoi figli.

Il secondo dei famosi Murakami giapponesi, lo scrittore Ryū Murakami (meno noto di Haruki), esordiva sostanzialmente giovanissimo e con una descrizione cinica di quella parte di società che i più non volevano vedere. La generazione dei padri di Ryū-personaggio, omonimo dell’autore, avevano lavorato senza sosta per accumulare ricchezze. Avevano però dimenticato un piccolo dettaglio nella ricostruzione di una nuova società e di una nuova potenza nipponica: creare le condizioni dove si potessero costruire scopi di vita e un insieme di valori condivisi che guidassero questa progettualità. Forse nella più puerile delle chiavi di interpretazione psicoanalitica, o forse nella più semplice delle verità che riguardano il rapporto umano padri-figli, l’abbandono a se stessi in una società tutta concentrata su idee materiali di benessere, senza una qualche forma di morale condivisa oltre il conformismo sociale dell’ordinata società giapponese, aveva generato questi giovani “mostri”: ragazzi capaci di distruggersi nel corpo e nell’anima, di fare atti violenti senza provare il minimo rimorso. Un incubo.

Quella manciata di giorni, forse di settimane, descritte in Blu quasi trasparente non ci dice niente di più sulla profondità di questi ragazzi, in apparenza dediti al divertimento sfrenato, in realtà talmente disperati da infischiarsene di quel progressivo disfacimento verso cui corrono tanto precocemente.

Ci sono alcune presenze ricorrenti che – a forte carica metaforica – scandiscono la sequela di orge e di sesso: gli umori del corpo, gli odori, il sangue. Saliva, vomito, umori sessuali, ferite, e poi ancora cibo in decomposizione. Si descrivono festini, e il metodico Ryū non manca di soffermarsi su questi particolari che, in una vera e propria estetica del disgusto, descrivono più l’interiorità dei personaggi, che le loro pratiche.

Pochi spiragli in questa decadenza: Ryū che osserva i particolari della quotidianità, qualche elemento della natura, crea mondi immaginari in preda a deliri provocati da sostanze varie. Qua e là, a loro modo, i ragazzi, violenti e meschini, cercano di amare, ma maldestramente, usando ancora una volta la forza.

Ryū Murakami non ha evocato fantasmi. Ha registrato in presa diretta quel mondo, visto da tutti ma ignorato. Non c’erano solo i nuovi quartieri che sorgevano ad un ritmo spaventoso in tutte le grandi città giapponesi. Non c’erano solo le interminabili file di impiegati in giacca nera e camicia che si recavano nei loro uffici, per chiudersi e produrre dieci ore al giorno in quei palazzi di cemento e acciaio. C’erano anche giovani che, incapaci di sognare, si distruggevano.

Interessante il clima perfettamente anni Settanta nei tanti riferimenti musicali del rock di protesta di allora. Ma quel clima d’epoca non impedisce al romanzo di rimanere fortemente moderno.

Murakami fu a suo modo profeta, e per questo rimane attuale anche oggi. Oltre quarant’anni sono trascorsi da quella narrazione, e ancora non siamo stati in capaci di colmare quelle lacune. I nostri valori (che a quanto pare condividiamo con i giapponesi, nel modello trionfante del liberismo capitalistico senza regole) sono rimasti ideali vaghi, ipocriti, strumentali. Quasi come le idee di “diritti umani” e “libertà” cavati fuori dal cilindro all’occorrenza. Il denaro e il “benessere” sono rimasti il centro delle nostre società, a Occidente come nell’Asia più avanzata.


Murakami Ryū, Blu quasi trasparente, ed. Atmospere Libri, 2021. € 17.00

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