Inquietudini moderne nel romanzo gotico inglese
Antri bui, castelli diroccati, cadaveri vaganti, apparizioni spettrali. Le mille declinazioni di queste inquietanti immagini che oggi ci sono così familiari, nascono in un’epoca abbastanza precisa della storia europea. Siamo all’inizio del XVIII secolo, imperversa la visione illuministica del mondo, ma lassù, nella Vecchia Inghilterra, si riscopre contemporaneamente il fascino del gotico in architettura. Lo stile classico, con la sua razionalità ed il suo nitore, è da sempre il riferimento iconico e stilistico del potere e dei circoli ufficiali: capitelli, colonne e marmi richiamano la razionalità dei greci e il concetto di autorità e potere dell’impero romano e sono perciò funzionali all’immagine del potere.
Tuttavia, sta nascendo un gusto popolare indipendente da poteri ufficiali. Grazie ad un’alfabetizzazione abbastanza diffusa, nel Regno Unito esistono sempre più fruitori di prodotti culturali, in particolar modo lettori, che vanno a formare un primo embrionale mercato editoriale.
Ma c’è di più. La nascita di quello che vien detto gothic revival, ben presto contagia le arti figurative la letteratura e fonda parte della sua fortuna in Inghilterra e nelle terre tedesche sul desiderio di ritrovare radici reali di una genuina e autoctona cultura anglosassone e generalmente germanica. Un desiderio che diverrà evidente con il movimento romantico e riguarderà anche le altre lingue e culture di origine germanica (come è noto, l’inglese è una lingua della famiglia germanica).
Se capitelli e colonne classiche vengono percepiti come prodotti di ascendenza mediterranea, guglie e bifore a sesto acuto sono una elaborazione visiva che i popoli nordici, non sempre a ragione, sentono più propria perché nata in un’epoca, i secoli medievali, che viene percepita come il periodo di nascita e sviluppo delle varie realtà nazionali germaniche.
Accanto a queste motivazioni sociologiche e storiche, dobbiamo considerare che al successo del gothic revival contribuirono anche componenti strettamente psicologiche, soprattutto riguardo alla letteratura.
Il genere in letteratura viene inaugurato da Horace Walpole, con il suo romanzo breve Il castello di Otranto (1764). Romanzo, in verità, ingenuo e poco strutturato, ma in cui si ritrovano già tutti i cliché della narrazione gotica, dal castello, all’apparizione del fantasma.
È curioso, però, che gli autori inglesi collochino spesso le loro visioni orrifiche nel mondo latino e cattolico, più predisposto con la sua forte componente rituale e iconografica alla rappresentazioni e alle suggestioni del genere.
Il monaco di Matthew Gregory Lewis (1796) è ambientato nella Spagna medievale e cattolica, mentre molti romanzi di Ann Radcliffe, autrice che ebbe notevole successo, sono di ambientazione italiana o coinvolgono comunque personaggi di origine italiana. Si pensi al libro I Misteri di Udolpho (1794) e a L’italiano (1797).
Gli autori sopra citati, inoltre, costituiscono due differenti visioni del gotico: la presenza di un soprannaturale reale che agisce concretamente sul mondo con Lewis, e una visione in definitiva più razionale con Ann Radcliffe nelle cui trame si trova sempre una spiegazione naturale al mistero.
Questo tipo di letteratura veniva visto dagli intellettuali dell’epoca come qualcosa di triviale, popolare e adatto, in definitiva, a sciocche ragazze delle classi benestanti che cercavano clandestinamente evasione nelle emozioni forti date da racconti di paura, di omicidi, intrighi. Si consideri, inoltre, che spesso nel romanzo gotico vi era una componente erotica, più o meno esplicita. Pudori mal celati inducevano così molti autori a presentare le loro pubblicazioni facendole passare come traduzioni o sotto pseudonimi.
Reazione differente, ma pur sempre dettata dalla diffidenza, è la rielaborazione parodiata del gotico da parte di autori che continuavano a guardare al genere come un prodotto artistico inferiore. La stessa Jane Austen, con L’Abbazia di Northanger (1818), sentì il bisogno di parodiare, certo con garbo, le giovani che si lasciavano catturare da sentimentalismi accesi dalla lettura dei romanzi gotici, decisamente estranei alla realtà sociale del tempo. Probabilmente la Austen, che tentava di riabilitare l’autonomia morale delle donne della sua epoca, vedeva come una battuta d’arresto il ritorno ad eroine passive.
Pregiudizi e timori non impedirono al genere di prosperare. I pochi autori sopra citati, sono quelli più universalmente noti e che godono ancora oggi di fortuna editoriale, ma vi fu un proliferare ben più ampio di autori e autrici che sfruttarono abilmente l’onda gotica.
Le motivazioni psicologiche di cui parlavamo in apertura, possono apparire semplicistiche, ma possono spiegare bene il successo, fino ai nostri giorni, dell’horror e del macabro. Il piacere di provar paura ascoltando racconti e vedendo immagini che incutono timore, angoscia o vero e proprio terrore, non è dissimile a quanto Aristotele notoriamente definiva Catarsi (per la quale emozioni irreali liberano lo spettatore con le passioni rappresentate dall’angoscia e dalla paura) e da quanto in epoca romantica si definiva sublime, concetto teorizzato già da Edmund Burke, che nel 1757 e reso celebre da un breve trattato di Kant. Sono “sublimi” fenomeni e immagini di apparenza terrifica e distruttiva, paurosa e anche violenta, che viste da uno spettatore che non corre nessun pericolo, provocano emozioni forti e quindi, paradossalmente, piacere.
Non è un caso che il cinema, fin dagli albori, non rinunciò a tematiche gotiche, riproducendo sulla pellicola opere letterarie come il Frankenstein di Mary Shelley (1818) e il fortunatissimo Dracula di Bram Stocker (1897), oltre ad un’infinità di altre storie ambientate in case lugubri e vecchi castelli, tra mostri ed assassini della più varia specie, che presero vita in pellicole ormai dimenticate.
In un modo non dissimile, ancora oggi, tentiamo di librarci dalla paura e dimenticarci della morte.