“Il Parla Lingue”, piccolo manuale motivazionale del poliglotta irlandese Benny Lewis
Benny Lewis è un noto poliglotta irlandese che ha riscosso un certo successo mediatico sul web, anche grazie al suo ruolo di testimonial per una piattaforma on-line (a pagamento) per imparare le lingue da autodidatta. Ho sempre avuto una certa perplessità per i poliglotti dell’epoca del web, quanto stima per gli eruditi del passato, traduttori, lettori di opere letterarie e scientifiche, unico vero modo per imparare in profondità un idioma straniero oltre la soglia dell’uso colloquiale (come il “santo” protettore dei poliglotti, il leggendario Cardinale Gaspare Mezzofanti). Ascoltando coloro che dicono di conoscere molte lingue sul web, non di rado mi sono imbattuto in una pronuncia sommaria, in frasi standard imparate a memoria, giusto per realizzare un video “poliglotta” acchiappa like su Youtube. Mi sono accorto di questa finzione mediatica solo per quelle (poche) lingue che mastico un poco, e che esercito con gran fatica e dedizione (direi amore, nel senso sentimentale del termine); la perplessità di ridurre la conoscenza di una lingua a qualche frase imparata a memoria, come dicevo, mi ha sempre lasciato perplesso.
Ovviamente, ci sono tante testimonianze reali, frutto di passioni e impegno, che ammiro, apprezzo, e cerco persino di imitare. Non so se sia il caso di Benny Lewis, ma di una cosa sono certo: il suo piccolo e fortunato libretto (Il Parla Lingue. Il metodo universale per parlare fluentemente qualunque lingua in 3 mesi, ed. Sperling & Kupfer) non ha niente a che fare con un metodo serio di glottodidattica-autodidatta – mi si perdoni il bisticcio di parole -, ma ha tuttavia il merito di essere una buona lettura motivazionale.
Lewis si sofferma sull’esperienza personale, ed è quindi poco metodologico nella sua proposta. Ci dice innanzitutto una cosa scontata, ma degna di essere ripetuta ancora e ancora, nel contesto dell’apprendimento linguistico: costanza e motivazione portano sicuramente a buoni risultati.
Uno dei pochi aspetti che possiamo definire metodologici, è un suggerimento che mi sento di appoggiare: parlare fin dal primo giorno! Chi vi scrive agisce ed ha sempre agito esattamente nel modo opposto: si acquisisce un certo bagaglio lessicale, una certa consapevolezza delle strutture, un certo orecchio nel percepire quelle formule colloquiali ricorrenti, e poi si inizia ad interagire con i parlanti madrelingua. Tempi della “mia versione”, circa un anno e mezzo. Lewis dice il contrario. Avete appena appena imparato a memoria qualche formula colloquiale? Buttatevi subito, cercate qualcuno con cui parlare. Anche ricorrendo a “trucchi”, come elenchi di frasi imparate a memoria e consultati direttamente durante la conversazione.
Questo agire da “baro” comunicativo ha i suoi vantaggi, perché ci rende fin da subito avvezzi all’uso comunicativo del linguaggio. Io ho sempre criticato la moda dei metodi glottodidattici comunicativi degli ultimi decenni, perché mi parevano destinati all’acquisizione di una lingua stereotipata, superficiale e persino semplificata. Oggi, tendo a rivedere queste mie idee un po’ troppo categoriche, proprio perché nessuno ci vieta di acquisire una parlata colloquiale e semplificata a fini comunicativi immediati, e allo stesso tempo cercare di far proprie le strutture del linguaggio di altri registi più complessi, come quello letterario, scientifico, saggistico, e così via.
L’ipotesi di Lewis che vede nei tre mesi il tempo per giungere ad un livello B2 del quadro di riferimento europeo per le lingue, è, nel migliore dei casi, un’esagerazione. Nel peggiore, una sciocchezza bella e buona. Certo, come è noto la lingua di partenza influisce in modo determinante sulla lingua obiettivo, e tanto più le due saranno vicine, tanto più celere sarà l’acquisizione della lingua straniera. È noto come italiani e spagnoli siano in grado, in pochi mesi di immersione, di imparare discretamente la lingua gli uni degli altri. È vero però, che Lewis subordina tale risultato ad un impegno costante e quotidiano di alcune ore al giorno di studio, e questo, onestamente, cambia le cose e sposta un po’ a suo favore l’arco temporale. Ma è impensabile che lingue molto distanti dalla propria lingua madre possano “fissarsi” nella nostra rete neurale così in fretta, neppure in caso di immersione totale.
Tutto sommato, il libro è scorrevole. Chi è intenzionato a imparare una lingua straniera, a tutte le età, può considerarlo una lettura propedeutica e utile per motivarsi in questa impresa. Senza dimenticare che i veri risultati si ottengono solo con tempo, costanza, fatica.