Interconnessione e frammentazione della società globalizzata in “Le consueguenza della modernità” di A. Giddens
In un breve saggio intitolato Le conseguenze della modernità uscito all’inizio degli anni Novanta, il sociologo Anthony Giddens tirava le somme della sua ricerca, cercando di capire quale fossero le caratteristiche peculiari della nostra epoca. Sono trascorsi trent’anni dalla pubblicazione di quello scritto, ma le idee di Giddens conservano una loro utilità interpretativa. Giddens proponeva di sostituire il concetto di postmoderno con quello di modernità radicale. Il termine “postmoderno” verso la fine degli anni Settanta e per gran parte degli anni Ottanta del XX secolo aveva avuto ampio spazio nella pubblicistica e nel costume, in arte e in letteratura. Nel dibattito filosofico il termine si era imposto grazie al breve libro del filosofo Jean-Francois Lyotard, La condizione postmoderna. Uscito nel 1979, il libro di Lyotard faceva il punto della situazione di idee che erano nell’aria da tempo (LYOTARD J-F., 2014).
Nell’attuale condizione postmoderna, secondo Lyotard, l’eredità del sapere positivo derivata dall’illuminismo è ormai tramontata. La compresenza di tanti linguaggi e visioni del mondo, tra loro anche contraddittori, ha reso obsolete idee nettamente definite di verità e di oggettività postulate dalle filosofie di stampo positivistico. In un senso più ampio, la condizione postmoderna sarebbe caratterizzata dall’impossibilità di determinare codici universali e univoci di spiegazione del mondo, una condizione che comprensibilmente porta la società verso l’insicurezza e lo smarrimento.
Secondo Giddens, l’atteggiamento postmoderno non costituisce un elemento differenziante della modernità rispetto alle epoche precedenti. Le peculiarità del nostro presente vanno cercate altrove, e più precisamente nelle istituzioni di quella che Giddens propone di chiamare la “modernità radicale”.
Il sociologo anglosassone nel suo breve libro avanza l’ipotesi che all’illusione della prima modernità illuminista di comprendere e governare la realtà, siano seguiti ben più instabili certezze nella comprensione della realtà. Giddens ravvede in tre fattori principali le motivazioni di questo dinamismo instabile della modernità.
Il primo è la separazione del tempo e dello spazio. Il tempo non è più una dimensione locale, non si riferisce più ad un’era specifica di un contesto socio-culturale e tradizionale preciso, ma è planetario, standardizzato ed astratto. Il tempo vuoto, quantificato e razionalizzato della scienza è un’invenzione del nostro presente, produce dimensioni standardizzate, ma recide il legame sociale tra attività sociale e aggregazione.
Un secondo fattore è la disgregazione dei sistemi sociali. Con questo termine Giddens intende il processo secondo il quale i rapporti sociali tendono a basarsi su un’impersonale senso di fiducia che forzatamente dobbiamo concedere alle istituzioni, piuttosto che sulla reale interazione sociale tra le persone. Per spiegare meglio il concetto, Giddens porta l’esempio della creazione di emblemi simbolici come la moneta, o l’istituzione dei cosiddetti sistemi esperti fondati sul sapere tecnologico-organizzativo. In entrambi questi esempi, moneta e sapere tecnologico-organizzativo, il cittadino comune imposta il suo rapporto con le istituzioni in termini di fiducia e non di rapporto diretto con istituzioni e persone fisiche; non è in grado inoltre di controllare i meccanismi dell’economia monetaria e neppure padroneggiare totalmente il sapere tecnologico-organizzativo che governa le istituzioni. Questa fiducia si basa su una informazione incompleta, ma è necessaria per vivere all’interno del sistema.
Il terzo fattore del dinamismo della modernità è ciò che Giddens chiama la riflessività della vita sociale moderna. In un senso più generico, l’idea di riflessività si riferisce ancora all’assenza di un sapere stabile e definitivo. Le stesse pratiche sociali vengono costantemente riesaminate e riformate alla luce dei nuovi dati acquisiti e delle nuove conoscenze. Non esiste più uno standard di riferimento: le convenzioni vengono sempre riviste in nome di un approccio scientifico che, con l’acquisizione di nuovi dati, nelle intenzioni diviene più efficiente, ma viene di conseguenza avvertito come instabile. Nelle condizioni della modernità il futuro stesso rimane costantemente aperto, proprio in virtù della riflessività.
La possibilità di incidere in modo determinante sul mondo naturale e segnare il destino dell’ambiente naturale che ci ospita è un’altra novità rispetto alle epoche passate. Viviamo un’era che di recente è stata battezzata come Antropocene: a differenza di ere geologiche passate, questa era è condizionata in modo determinata dalla specie umana. L’uomo stesso può essere causa diretta di pericoli materiali e sanitari per la propria specie e per le altre esistenti sul pianeta. Questi pericoli sono generati dalla sua azione diretta o indiretta sull’ambiente.
Nelle società precedenti la tradizione forniva un quadro di riferimento e di controllo per la vita sociale. La riflessività della vita moderna rimescola in continuazione le convenzioni rendendo la realtà percepita instabile. La condizione psicologica della fiducia in epoche premoderne era basata su una condizione sociale ed esistenziale diversa: su legami parentali e sulla comunità locale in primo luogo, ma anche su una cosmologia religiosa rassicurante, dove alla religione era demandato il ruolo di spiegare il mondo e gli eventi.
La fiducia accordata ai sistemi astratti sopra citati, è affrontata in termini ambivalenti dall’individuo moderno. Il sapere tecnico genera rispetto e aspettative sulla possibilità di gestire la vita sociale, ma contemporaneamente produce diffidenza. In primo luogo per l’impiego di linguaggi inaccessibili. In secondo luogo, la struttura stessa del sapere scientifico che si basa sulla citata riflessività: chi ci assicura che il punto delle conoscenze di oggi non saranno riviste completamente in un futuro troppo lontano, caratterizzando così il nostro sapere attuale come illusione, grossolano errore o persino menzogna? Questa circolarità, questa trappola cognitiva, contribuisce a generare l’inquietudine della nostra epoca.
Tratto da: D. Donadio, La cittadinanza globale. Nuove utopie e biodiversità culturale per una società nuova.