Letteratura di (nobile) evasione
Se siete stanchi di impegno, se ne avete abbastanza di sentire politici ripetere sempre le stesse cose e, ugualmente, non ne potete più di ascoltare la lamentela popolare col suo traboccare di luoghi comuni, fate un gesto di evasione, salvatevi. Isolatevi, egoisticamente, in un mondo piacevole, leggero. Plasmatelo a vostro uso e consumo, senza pensieri. Sedetevi in poltrona, sorseggiate un buon whisky invecchiato (o se non vi piace il genere, una tisana esotica o un tè), e leggetevi un libro. Oggi che l’invito alla lettura è diventato un’ennesima forma di impegno, e che questo “appello” qualche volta risulta un po’ antipatico (leggere fa bene, come mangiare frutta e verdura), leviamo subito di torno l’impegno. Leggetevi disimpegnati romanzi di genere, secondo la vostra indole. Divertitevi con la storia, la narrazione. Se vi va, seguite le mode del momento, gli autori da classifica.
Ma quello che viene scritto oggi è già pericolosamente attuale. Vi parla del presente. E anche quando le storie sono ambientate in tempi e luoghi lontani, un po’ di pesantezza della nostra epoca la possiamo percepire. Allora, leggetevi libri del passato. Romanzi di avventura, per esempio. Potete cominciare da Robert Louis Stevenson. Alcune generazioni fa, Stevenson era una lettura giovanile quasi obbligata. Oggi è passata di moda, e la lettura de “L’isola del tesoro”, “Il ragazzo rapito” o “La freccia nera”, non è così diffusa come un tempo.
Viaggi per terra e per mare, colpi di scena, spesso finali lieti. Qualcuno, più smaliziato, obbietterà: “Ma questa è grande letteratura! Vi sono implicate grandi questioni umane che rimangono implicite!”. Il consiglio che posso darvi, è di non farci caso e di ignorare questi guastafeste che vogliono a tutti i costi dare una connotazione alta al vostro momento di leggerezza. Fate un cenno con la mano per mandarli via, sorseggiate il vostro whisky/tisana e riprendete la lettura.
Godetevi gli avvenimenti. Focalizzatevi, per esempio, sulla descrizione del pirata Long John Silver ne “L’isola del tesoro” o sul tragitto del viaggio del brigantino Covenant ne “Il ragazzo rapito”.
Ci sono storie che anche se non le abbiamo lette, ci sembra di conoscerle. È il caso, per esempio, de “Le avventure di Gulliver” di Jonathan Swift. Giganti, nani e cavalli parlanti, filosofi che vivono su isole volanti: mondi fantastici che ammiccano alla satira.
Se poi gli autori delle isole britanniche vi stanno antipatici, provate coi francesi. Leggetevi “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas (titolo ironico, perché il libro è poi la storia del quarto, d’Artagnan), oppure, per rimanere ad avventure di mare, “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne, piacevolissimo libro di mare e fantascienza ante litteram. Tanto il primo quanto il secondo, sono storie in movimento. I personaggi esistono in virtù di quello che fanno e di quanto accade loro. Ma scusate, non vorrei cadere alla tentazione di fare della “critica letteraria”.
Se volete azione, ferocia e, al tempo stesso, un po’ di genuino (e ingenuo) sentimentalismo dovete ripiegare sul nostro Emilio Salgari. Il ciclo di Sandokan, molto famoso fino ad alcuni anni fa grazie al serial televisivo di cui anche i più giovani hanno almeno sentito parlare, è anch’esso oggi fuori moda.
Il pirata della Malesia è la quintessenza del personaggio che si costruisce sulle azioni (e per i più esigenti, qui c’è anche un po’ di filosofia di vita: “siamo quello che facciamo”). Ma il truce Sandokan si lascia andare anche a passionali dichiarazioni d’amore con espressioni melodrammatiche e ingenue che, dopotutto, sono un pregio proprio perché non appesantiscono le vicende di risvolti psicologici troppo astratti e semplificano le dinamiche interpersonali.
Certamente, in questi momenti di distacco rigenerante, non vi sarete liberati delle parole a vuoto dei vostri simili. Non appena le avventure lontane tacciono, la vita reale torna a punzecchiarvi con le sue questioni, spesso di poco conto. Basta imparare quanto tempo dedicare all’una e all’altra dimensione.