La vita come finzione

Confessioni di una maschera di Yukio Mishima

Celare se stessi dietro un personaggio è il primo espediente di un autore. La visione della propria esistenza “sublimata” nella narrazione letteraria è una fonte comoda e a portata di mano a cui spesso ricorrono anche gli autori alle prime armi. Mishima, però, è autore troppo importante per rimproverargli l’utilizzo di un espediente così trito, se non quasi banale. In Confessioni di una maschera (Kamen no koruhaku, 仮面の告白), uno dei più importanti autori giapponesi del Novecento si mette a nudo: sono tanti i critici e i lettori, infatti, che non hanno faticato a vedere nella voce narrante tutte le contraddizioni e i dubbi dello stesso Mishima, ben oltre le coincidenze tra storia e vicende biografiche dello scrittore. Come spesso accade, però, queste coincidenze autore/personaggio perdono di significato nelle grandi opere: è il significato più ampio della vicenda umana dei protagonisti ad assumere un valore di per sé, filosofico ed estetico insieme.

Confessioni di una maschera, però, è una storia ordinaria, povera di eventi (si sarà notata la preferenza di chi vi scrive per questo tipo di storie, meno “avventurose”, ma senz’altro ricolme di senso).

Il giovane Kochan (nome appunto “maschera”, un semplice diminutivo) narra la sua infanzia e la sua prima giovinezza, soffermandosi in particolare sulla progressiva scoperta della propria sessualità. Il giovane, giunto all’età della maturità sessuale, si accorge di essere un “invertito”, termine indigesto alla sensibilità moderna, ma che bene indica la concezione che si aveva dell’orientamento sessuale “diverso” in una società conservatrice come quella giapponese negli anni centrali del Novecento.

Kochan si innamora dei compagni di scuola del suo stesso sesso, ma dissimula questa sua passione per tutta la vita, arrivando anche a corteggiare le ragazze. La presa diretta della narrazione avviene dall’interno: Kochan si turba nell’ammirare l’arte occidentale e di provare attrazione per i nudi dell’arte classica, figure che nella sua immaginazione va sovrapponendo ai giovinetti aitanti e pieni di vita per i quali prova un’inconfessabile attrazione sessuale.

Dicevamo, dunque, che si tratta del di-svelamento di un processo che avviene tutto interiormente. Più volte la voce narrante (in prima persona) ricorre all’immagine della maschera, confondendo i piani tra realtà e immaginazione, e arrivando a sostenere che fingere per una vita intera corrisponde ad una trasformazione effettiva della nostra personalità in quella finzione che andiamo mostrando agli altri. Finiamo così per credere noi stessi a quella finzione che con tenacia e perseveranza mettiamo in scena davanti alla società. Uno spunto che va ben oltre la dimensione della sessualità della vicenda

È quanto avviene a Kochan, il quale, intenzionato ad innamorarsi sul serio di una ragazza, finisce quasi per crederci, fin quando la bella Sonoko non lo ricambia veramente, ed egli è costretto ad un’ambigua e indegna marcia indietro.

Di non secondaria importanza appaiono due elementi nella problematica interiorità del protagonista: una salute malferma che lo rende insicuro, e una patologica attrazione per il sangue. Non pare, tuttavia, che quest’ultima si configuri con intenzioni sadiche di Kochan, quanto in una sorta di identificazione con il sangue e la vita. Una dimensione che va più colta nel suo senso antropologico e ancestrale, che non in quello psicopatologico. Non a caso, uno degli amori adolescenziali del protagonista, il compagno di scuola Omi, è una sorta di efebo spartano, ribelle e spontaneo, che trasuda vita ed energia da tutti i pori; nel suo corpo Kochan rivede lo scultoreo San Sebastiano trafitto dalle frecce dipinto da Guido Reni, una delle figure che per lui assumono un valore di grande potenza simbolica. Da rilevare, a questo proposito, anche un sostanziale interesse di Mishima per la cultura occidentale, con la quale dimostra una certa dimestichezza.

Ci troviamo, in conclusione, di fronte allo stesso paradosso del titolo: la “confessione” è una dimensione interna all’individuo, mentre la “maschera” è qualcosa che cela una vera identità. Un gioco, un depistaggio? O un’allusione alla confusione sostanziale tra vita e arte?

Da questo punto di vista, ma senza certezza, possiamo sostenere che la terza ipotesi sia la più verosimile: Mishima, infatti, visse una vita “maledetta” nel più classico dei significati, fu autore visivo e ferino che tentò di far coincidere vita e arte (in quelle allegorie così forti della vita e della morte), fino al suo gesto di suicidio rituale. Una coerenza estrema, dopo aver sofferto per tutta la vita la propria ambiguità.

Il libro e l’edizione.

Yukio Mishima, Confessioni di una maschera, Feltrinelli 2021.
Traduzione di Marcella Bonsanti.
Prezzo di copertina 11,00 €
Feltrinelli ha il merito di editare con regolarità molte opere di Mishima.

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