L’Italia come spazio immaginario e simbolico nella poesia russa della prima metà dell’Ottocento
Introduzione. Il processo di ricezione, assimilazione e sintesi che la società intellettuale russa compie nei confronti della cultura europea tra XVIII e XIX secolo, riguarda anche gli spazi “geografici” dell’immaginario poetico. L’antichità classica e l’Italia come terra di delizie e nuova Arcadia fanno parte di questi orizzonti poetici, e trovano un certo spazio nella produzione poetica russa.
In epoca romantica permane in Europa una certa importanza dell’Italia nell’ambito della formazione del gusto, anche se ormai la Penisola ha perso il ruolo attivo di rielaborazione culturale dei secoli passati, ed è divenuta pura fonte di ispirazione come erede privilegiata della classicità latina e meta formativa “turistica” per i giovani nobili (con il noto fenomeno del Grand Tour a partire dal secolo XVII).
Secondo la chiavi di lettura qui presentata, nell’assunzione dell’Italia come oggetto poetico, motivazioni di ordine climatico-geografico influiscono quanto e più dell’ammirazione russa per la Classicità, nell’elaborazione del mito poetico dell’Italia.
Nell’articolo vengono analizzate alcune poesia di autori della prima metà del XIX secolo che hanno per oggetto l’Italia: Pëtr Andreevič Vjazemskij (1792-1878), Dmitrij Vladimirovič Venevitinov (1805-1827), Ivan Ivanovič Kozlov (1779-1840), Elizaveta Kul’man (1809-1825).
L’Antico, tra Europa occidentale e Russia. Fu con l’epoca dei lumi che la cultura assunse una dimensione europea più integrata. Se da un lato una fitta rete di rapporti aveva caratterizzato il contesto europeo, mediterraneo prima e continentale poi, tanto nell’antichità quanto nell’età di mezzo e nella prima età moderna, con il Settecento il viaggio e gli scambi culturali diventano anche un fatto di costume delle classi colte. Il secolo XIX vide un ulteriore salto in avanti nel percorso di integrazione della cultura europea con lo sviluppo della rete ferroviaria. Sui binari dei treni non viaggiavano solo merci e persone, ma anche cultura.
La penisola italiana, da parte sua, rimase a lungo meta formativa e turistica. Il noto fenomeno del Grand Tour fece dell’Italia una meta privilegiata per i viaggiatori del nord e centro Europa fin nel cuore dell’Ottocento.
Il viaggio nello spazio verso l’Italia era concepito dai viaggiatori dell’epoca anche come un viaggio nel tempo di riscoperta dell’antico. Emblematico il rapporto conflittuale nell’opinione dei viaggiatori tra l’Italia gloriosa del passato ed un presente di miseria e malgoverno. Ce ne lasciò traccia anche Goethe nel suo Viaggio in Italia, racconto nel quale traspare indulgenza e simpatia per i difetti degli italiani contemporanei, e grande ammirazione per il passato. Generalmente, quella del Grad Tour è un’Italia reale mescolata ad una realtà ideale, due spazi che convivono: osservazione e rappresentazione deformata dall’immaginazione e dalle aspettative dei viaggiatori.
Per quanto riguarda la Russia, è noto che le riforme petrine avevano proiettato il grande paese slavo verso il contesto europeo. Se Pietro I aveva avuto una certa predisposizione verso l’Europa protestante del Nord e si era interessato soprattutto ad apportare una modernizzazione tecnica ed organizzativa più che filosofica e letteraria, non erano mancate contaminazioni nel campo delle lettere e delle arti.
Ma il retaggio della civiltà classica non poteva avere in terra russa lo stesso significato concepito dai popoli dell’Europa occidentale. L’eredità greco-romana era vista come diretto archetipo delle culture presenti, non solo per le culture neo-latine. Solo il pieno romanticismo metterà parzialmente in discussione la centralità dell’eredità classica nelle terre di lingue germaniche, individuando nell’epoca medievale il vero punto di svolta della formazione dell’identità culturale del presente.
Questa alterna fortuna tra classico e romantico, tra antichità e medioevo, è storia nota.
Tornando alla Russia, se paradossalmente la ricezione della cultura letteraria e filosofica occidentale europea da parte della società russa fu essenzialmente improntata al classicismo (tanto che il romanticismo russo si espresse sostanzialmente in forme ispirate dal classicismo), l’identità archetipica russa veniva fatta risalire all’Ortodossia e alla dimensione linguistica slavo-ecclesiastica che si era formata in epoca medievale. Per certi versi in terra russa la querelle Classicismo/Romanticismo assumerà la ben nota forma di Occidentalismo/Slavofilismo.
Questo rese ancora più problematico il rapporto dialettico con la classicità greco-romana, concepito essenzialmente come qualcosa di esterno alla cultura russa da parte di coloro che ravvedevano nell’Ortodossia e nella letteratura slavo-ecclesiastica o antico-russa il fondamento dell’identità russa.
Eppure, al pari dell’Occidente, l’immagine “idealizzata” della classicità rimase costantemente presente anche nella cultura russa.
L’Italia, da parte sua, giocò un ruolo primario in questo gioco di immaginazione. Terra ormai periferica sul piano dell’elaborazione attiva in ambito tanto letterario, quanto filosofico e scientifico, manteneva un proprio spazio nell’immaginario collettivo europeo e, come vedremo, anche russo.
Russi che sognano l’Italia. Le complesse dinamiche di ricezione, assimilazione, rielaborazione degli elementi occidentali nella cultura russa sono un capitolo sterminato della storia di questo paese. Questa concezione conflittuale che la Russia ha di sé come parte della cultura occidentale, e come qualcosa allo stesso tempo di diverso e originale, improntano persino oggi, nella Russia contemporanea, il rapporto politico, economico e culturale Russia-resto d’Europa. Per non parlare della situazione dopo la fase di guerra con l’Ucraina.
A livello di indagine che qui ci interessa, l’immagine dell’Italia che ritroviamo nella poesia russa rientra certamente nella ricezione di quello spazio immaginario dell’antico di cui parlavamo sopra.
Tuttavia, la funzione immaginativa della penisola mediterranea, è anche motivata da ragioni di tipo essenzialmente geografico e, per così dire, “climatico”.
L’incredibile vastità russa fa sì che il paese contenga varie fasce climatiche, in cui non mancano anche aree temperate di clima mediterraneo, come nel sud della Russia e sul Mar Nero. L’elaborazione dello spazio immaginario letterario, però, avviene essenzialmente nei due centri della cultura russa, Mosca e San Pietroburgo, due città che notoriamente occupano una fascia climatica fredda continentale.
Poeti e intellettuali russi, quindi, anche nella varietà della loro provenienza, vivono la loro attività poetica e speculativa in una terra ben diversa del contesto climatico mediterraneo, e questo influisce notevolmente sull’elaborazione poetica di un “altrove” idealizzato come fu l’Italia nella poesia russa.
Furono quindi due le componenti che influirono sulla rappresentazione dell’Italia nella poesia russa: l’Italia come terra della Civiltà Classica (delle colonie greche e di Roma antica) e l’Italia come terra del tepore mediterraneo, una sorta di Arcadia, un spazio geografico più immaginato che reale che contribuì a fare della penisola italica un simbolo poetico nella produzione letteraria russa.
Di seguito analizzeremo, pur in modo sommario, alcuni autori e alcuni loro componimenti che impiegano proprio questa rielaborazione simbolica e idealizzata dell’Italia.
Pëtr Andreevič Vjazemskij (1792-1978), poeta legato al circolo letterario “Arzamas”, fu autore di impianto romantico. L’influsso di Byron fece orientare anche in termini civili la sua poesia. Fu autore di una serie di versi dedicati all’Italia e scritti in occasione di una sua visita alla figlia malata a Roma. Di questa serie fa parte anche A un italiano che sta ritornando in patria (k ital’janzu, vozvrasčajusčemusja v otečesvo).
Sotto l’azzurro cielo della splendida Italia
Nella patria di speranze, di felicità e dolci sogni,
Ove l’aria di amore voluttuoso è colma
Dove il mirto stormisce e lo scintillar di frutti dorati
Nella fitta ombra degli alberi con i raggi gioca,
Che il cammino della vita davanti a te rifulga sempre davanti a te
Che felicità e amore incoronino la tua fronte sempre,
Ma le nevi del nord non dimenticare!
Nel paese dove del fiero Tevere scorrono le acque dorate
Dove il Campidoglio alza il suo capo,
Ricorda le ceneri del Cremlino, quel monumento di libertà.
Ricorda la gloriosa caduta di Mosca!
Vai dove le preghiere di tuo padre di richiamano;
Riscalda negli abbracci il tuo vecchio petto,
Ma nella prima gioia dell’amore e dell’emozione
noi, amici nordici, non dimenticare.
Da sempre i viaggiatori nordici sottolineano la diversità cromatica dei cieli mediterranei, tanto quanto i viaggiatori del sud avvertono una maggior intensità cromatica e profondità nei cieli settentrionali. Si tratta di cieli più chiari e luminosi; una diversità cromatica dovuta innanzi tutto alla latitudine.
Per l’amico nordico, nella poesia di Vjazemskij, la splendida Italia si adagia sotto un cielo azzurro, precisazione meno banale di quanto possa sembrare, poiché contribuisce a creare quello spazio immaginario di un sud accogliente e benevolo proprio attraverso questa impressione cromatico-visiva diversa per l’occhio dell’uomo nordico. Tanto più che subito dopo si definisce la Penisola come “patria di speranze, di felicità e dolci sogni, / Ove l’aria di amore voluttuoso è colma”.
È una definizione puramente astratta e idealizzata, non correlata in nessun modo alla realtà concreta, politica, economico-sociale, dell’Italia reale. Siamo di fronte ad un’immaginazione propriamente romantica: è importante il simbolo e la carica espressiva che racchiude e l’emozione che riverbera: la reale Italia non interessa in alcun modo.
Gli elementi naturali contribuiscono a collocare lo spazio geografico di questa Italia in un’Arcadia trasfigurata: “Dove il mirto stormisce e lo scintillar di frutti dorati / Nella fitta ombra degli alberi con i raggi gioca”.
Entrambe le due ottave che compongono la poesia si chiudono con un auspicio. “Ma le nevi del nord non dimenticare!”, e “Noi, amici del Settentrione, non dimenticare”.
Questi auspici rivolti all’amico che, beato, ritorna in una terra tanto accogliente, si costruiscono proprio su una contrapposizione implicita tra il presente dell’autore, confinato in una terra fredda e banalmente quotidiana proprio perché reale, e una patria di speranze, felicità e dolci sogni, ma tutta trasfigurata.
Parimenti, come non si deve pensare ad un’Italia reale, la Russia delle nevi nordiche e degli amici del settentrione è una terra tutta interiore. Non vi è alcuna intenzione di commiserazione o condanna della Russia reale in questo confronto dialettico implicito; anche le allusioni ad una dimensione più concreta nella seconda ottava si possono considerare come un puro espediente essenzialmente retorico. L’altrove immaginario salva il fortunato amico che ritorna a casa, e innesca un’attitudine nostalgica. È la stessa partenza verso un altrove ad innescare speranze e rimpianti in chi rimane.
Di tenore analogo è in parte anche la poesia Italia di Dmitrij Vladimirovic Venevitinov (1805-1827). Venevitinov morì giovanissimo. Fece parte di quel gruppo detto dei poeti Ljubomudry, studenti e intellettuali che si raccolsero nel biennio 1822-24 presso la cattedra di eloquenza dell’Università di Mosca, tra i quali si annoverano anche A. S Chomjakov, V. F. Odoevskij, e altri. La componente fortemente romantica delle idee del gruppo traeva ispirazione dalla cultura tedesca contemporanea. I giovani poeti continuarono ad incontrarsi anche dopo gli anni degli studi presso il famoso Salotto di Zinaida Volkonsakja.
I versi che qui prendiamo in considerazione di Venevitinov rappresentano bene la componente sentimentalistica del poetare dei Ljubomudry; altra e più caratterizzante tendenza fu quella di una poesia filosofica e misticheggiante. Nella poesia Italia ritroviamo forti analogie con i versi di Vjazemskij per quanto riguarda lo spazio immaginativo:
Italia, patria di ispirazione!
Verrà la mia ora quando mi riuscirà
di amare con estasi beata,
quando amai la tua anima in un luminoso sogno
Senza tedio dalle fantasie mi allontanerò,
e davvero nel cerchio dei tuoi splendori,
sotto cieli di zaffiro,
l’anima di piacere secondo la voglia lascerò giocare.
[…]
L’accenno di maniera ai cieli mediterranei fa anche qui da contorno ad un’atmosfera di esaltazione beata. Ancora una volta l’Italia è una nuova Arcardia, terra di splendori che possono apparire solo in sogni luminosi.
Secondo la chiave che qui stiamo seguendo, è la componente geografica ad ispirare il discorso dei poeti russi, quanto è più del sostrato mitico del retaggio classico della terra italica; poco sotto, infatti, Venevitinov, ritorna ai tempi del giorno e della notte, tanto cari alla poesia poetica europea:
Come gioioso appare il mattino dorato
e dolce l’argentea notte!
Non manca il richiamo all’antico, ai “cantori di un tempo”, ma anche ad uno dei personaggi fondanti della mitologia romantica, Torquato Tasso. L’Italia, è poi una terra immaginativa che salva dai tristi pensieri del presente:
O mondo vano! Allora via dai pensieri!
Nell’abbraccio e nella creatività in pace
vivrò trai cantori di un tempo,
richiamerò le loro ombre dal sepolcro!
Allora, o Tasso, il tuo placido sonno turberò,
e la tua estasi, il tuo calore meridiano,
si farà dono alla vita e ai dolci canti
nella fredda mente e nell’animo del nord.
Compare nuovamente, quindi, la contrapposizione sud estatico e spensierato (la follia del Tasso diviene estasi) e la freddezza interiore sulla quale il poeta si sofferma nell’ultimo verso.
La sensibilità romantica si era concentrata su alcuni spunti tematici con particolare insistenza. Tra questi vi era senz’altro la scelta del contesto montano come quinta perfetta. Altezze, precipizi, abissi, avevano ispirato tanto la letteratura, quanto il linguaggio figurativo di tutto il romanticismo europeo. Non fa eccezione il romanticismo russo.
In Alle Alpi di Ivan Ivanovic Kozlov (1779-1840) soggetto e oggetto dei versi è interamente il paesaggio alpino, oggetto poetico in sé sufficiente:
Baluardo inaccessibile di granitici crinali
in possente grandezza dal sorgere dei secoli
Regolari alture di sparse montagne
così audaci sotto un cielo, vista meravigliosa.
Rifugio dei ghiaccio e di ammassi nevosi.
Dove infuria la tormenta, rugge la cascata;
Scoscesi dirupi, dove l’aquila romana
si stupiva, come coraggiosa passando per i precipizi,
Cime di tremenda e sacra bellezza,
prendetemi oltre il cuore del tuono,
In alto, lontano, in quella tenebra densa.
Dove in segreto l’anima col divino parla.
Il processo di trasfigurazione astratta del luogo poetico qui ha una ulteriore evoluzione. Le Alpi (che qui in verità sono prese nella loro denominazione geografica generale, quindi non per forza intese nel loro versante italiano, pur così cospicuo) divengono i monti per eccellenza. Si può anzi ammettere che quello alpino sia declinazione ulteriore dello spazio poetico-simbolico, coincidente solo in parte con quello di Italia nuova Arcadia, ed anzi spesso autonomo, se non altro per la dimensione europea dell’arco alpino.
Anche in questi versi di Kozlov pari importanza assumono le coordinate paesaggistiche e gli elementi geografici che definiscono questa scenografia astratta: cieli, acque, ghiacci, precipizi, in un repertorio prevedibile ma comunque di grande efficacia espressiva.
Questo impiego dell’immagine Italia come terra poetica trasfigurata si spinge oltre con Elizaveta Kul’man (1809-1825), giovane poetessa poliglotta che compose versi in varie lingue europee tra cui l’italiano. Quindi, seppur non si possa parlare in questo caso di poesia russa, i versi di Elizaveta Kul’man vanno per lo meno presi in considerazione come ulteriore esempio dell’impiego di un luogo – l’Italia appunto – come altrove immaginario poetico da parte degli intellettuali slavi.
In Italia, Italia mia! la Kul’man, non senza una certa ingenuità, si riferisce al Bel Paese appellandolo come “La più bella terra del vasto mondo intero” e
E a me (dopo la patria,
di cui l’amore innato
col core insieme cresce)
Cara vieppiù di ogni altra!
Altro fattore che poté influire nella considerazione degli intellettuali russi per la classicità, fu lo slittamento nel corso del secolo precedente rispetto ai testi qui analizzati, delle preferenze degli Occidentalisti che si spostarono dal mondo germanico-inglese introdotto da Pietro, a quello francese, nel vivace ventennio sotto Elisabetta (1742-762). La cultura francese, in modo indiretto, rimaneva comunque consapevole di un legame stretto con la classicità e la latinità, e oltre ad essere linguisticamente appartenente all’eredità latina, aveva da sempre coltivato modelli classici. Nell’epoca di Elisabetta l’impero russo assistette ad un vivace sviluppo culturale generale, ed in particolare in ambito letterario. Si tentò anche un certo compromesso tra occidentalizzazione, laicizzazione e recupero dei valori nazionali
Conclusioni. Il sopra citato Ivan Kozlov fu oltre che poeta, anche traduttore dall’italiano e da altre lingue europee. La pratica della traduzione svolta direttamente da poeti fu un importantissimo veicolo di scambio e influenze tra il contesto generale europeo e la cultura russa. E se questo è vero in genere per tutti i paesi dell’Europa occidentale in genere, rivestì un’importanza maggiore per il contesto russo. La parte occidentale del continente aveva già sviluppato un linguaggio ed un orizzonte comune, mentre la Russia vi era entrata improvvisamente solo nell’epoca petrina. A distanza di oltre un secolo, la necessità di arrivare ad una sintesi tra appartenenza europea (a tratti negata, osteggiata, ma mai abbandonata del tutto) e peculiarità russa, passava anche attraverso la ricezione, l’assimilazione e la rielaborazione originale degli stimoli che venivano dal romanticismo europeo, in particolare tedesco ed inglese.
Questa opera di mediazione continua, che caratterizzerà sempre la cultura Russa fuoriuscita dal suo orizzonte slavo-ecclesiastico, si può ben sintetizzare in figure di riferimento come lo fu, tra i molti possibili esempi, Batjuskov, teorico di una letteratura lingua letteraria orientata verso i toni leganti e sensibili della poesia francese, e verso l’esperienza italiana (Tasso e Petrarca, tradusse anche Rolli e Casti). L’imitazione della poesia antica ed europea contribuiva, dunque, alla creazione di quegli spazi poetico-simbolici come lo fu l’Italia nei versi qui sommariamente esaminati.
Bibliografia essenziale
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S. Garzonio, Introduzione in S. Garzonio, G. Carpi (a cura di) Poesia russa, Roma 2004.
Пушкарева Ю. Е., Гаврилов Д. Ю., Зинаида Волконская как вдохновительница итальянского текста в поэзии любомудров, in Актуальные проблемы лингвистики и литературоведения. Сборник материалов I (XVI)Международной конференции молодых ученых(9—11 апреля 2015 г.). Издательство Томского университета 2015.
L. Satta Baschian, L’illuminismo e la steppa. Settecento russo, Roma 1994