Il fascino della scrittura: i caratteri cinesi
In ogni manuale di introduzione alla scrittura o alla grammatica delle lingue che usano i caratteri cinesi (in cinese 汉字 hànzì, in giapponese 漢字 kanji), troverete un minimo di storia di questo antichissimo metodo di scrittura, tanto complicato quanto affascinante e incredibilmente espressivo. Scoprirete che i caratteri sono gli stessi, o quasi, nelle lingue cinese e giapponese, ma con delle differenze. Nella Cina continentale negli anni ’50 sono stati introdotti i caratteri semplificati per aumentare l’alfabetizzazione: lo scopo era rendere la scrittura più semplice, riducendo il numero di tratti necessari per un carattere. Questo ha sì semplificato i caratteri tradizionali, permettendo a più persone di imparare a leggere e scrivere, ma in qualche caso ha eliminato il segno “semantico” che rendeva il carattere significativo, talvolta impoverendo il carattere che ne è risultato. Taiwan e Hong Kong hanno invece scelto di mantenere i caratteri tradizionali non semplificati. Questi caratteri sono più vicini a quelli usati nella letteratura classica.
In Giappone, i caratteri cinesi sono conosciuti come kanji (漢字), parola che poi significa semplicemente “carattere cinese”. Dopo essere stati importati dalla Cina nei primi secoli dopo Cristo, i kanji sono stati adattati attraverso un processo secolare che li ha resi parzialmente autonomi dalla matrice cinese, anche se la comprensione reciproca del singolo carattere rimane alta (ma le lingue sono diversissime, quindi i testi lunghi non sono per niente reciprocamente comprensibili).
Tuttavia, per lo straniero che non ha subito un processo di acculturazione e alfabetizzazione decennale, lungo il quale questi segni sono diventati semplicemente “scrittura” portatrice di un significato, questi segni impressionano e incidono sull’occhio esterno anche per la loro forza espressiva ed estetica. Certo, non è esatto dire che gli “autoctoni” siano diventati insensibili al fascino dei caratteri. La calligrafia riveste un ruolo estremamente importante e distintivo nelle culture citate. Sul continente e sull’isola del Sol Levante, la calligrafia è considerata un’arte elevata, paragonabile alla pittura e alla poesia, anche oggi che rimane qualcosa di molto più raro rispetto al passato.
La calligrafia non è solo un’arte estetica, ma anche un’espressione profonda di valori simbolici e filosofici: il segno, che conserva il suo antichissimo significato “pittografico” e “ideogrammatico”, ha un ruolo nell’etimologia antica e nella creazione di nuove parole che va ben oltre alla “radice” sonora delle lingue come le nostre. Da noi, lingua e rappresentazione si sono fatte fin da subito astratte, visto che le lingue occidentali si prestavano ad una trascrizione soprattutto fonetica. Qui, il segno complesso è stata anche una necessita pratica. Ma oltre a questo, l’esercizio della calligrafia è vista come una forma di meditazione, oltre ad avere quel valore estetico intrinseco e pragmatico.
Me ne vado in giro per Tokyo a fotografare insegne e cartelli, anche se ormai è qualche anno che sono abituato a vedere caratteri ovunque. I kanji non smettono di suscitare il mio interesse, pure ora che comincio a leggerli un po’: quel loro fascino insieme simbolico ed evocativo continua a colpire la mia immaginazione.
Vedo nei visi perplessi delle persone domande come “ma che avrà da fotografare l’insegna della pescheria, quello straniero?”, e io vorrei fermarli e spiegare loro che fin da bambino imbrattavo i muri della cantina di casa con quei segni di cui ignoravo il significato. Forse è un modo per rimanere bambino.



