Streghe giapponesi

Donne e forza primordiale (note disordinate su Maschera di donna di Enchi Fumiko)

Enchi Fumiko, Maschera di donnaVoglio parlare di un libro, senza parlare del libro. Odio le recensioni banali, e amo le recensioni utili (quelle scolastiche, da manuale, precise, documentatissime, piene di note e di bibliografia). Le vie di mezzo sono un esercizio retorico di dubbia utilità. Voglio parlare di un libro, anzi di quello che ci sta dentro, senza faticare a riassumere una trama. Fatevelo voi. Leggetevelo. Il libro è il breve romanzo della scrittrice Enchi Fumiko (che gli dei la benedicano), intitolato Maschera di donna (Onna-men 女面). Parla di donne. Anzi di femmine. Di fascinazione, inganno, forza primordiale, di follia, di soprannaturale. Tutto ha un vago sapore di stregoneria, anche se quel termine è fuori contesto, è troppo europeo, e poi cela in sé una certa condanna morale che, se c’è, è piuttosto approvazione dell’autrice. Gli uomini, in Maschera di donna, vengono truffati, e paiono meritarselo, raggirati, usati nel loro punto debole: l’attrazione per il corpo femminile. Il più grande e dolce inganno architettato dall’evoluzione ai danni dell’uomo.

Mi smentisco subito, dando qualche traccia di trama. Nel libro succede poco, come spesso avviene nella letteratura giapponese. Un minimalismo che si focalizza sull’emozione (velata, e non urlata), più che sugli eventi. La giovane Yasuko, rimasta vedova intorno ai trent’anni, vive con la suocera Mieko. Le due signore fanno parte di una sorta di circolo poetico e spesso accolgono ospiti che si dedicano alla poesia. Yasuko, dopo la morte del marito, esprime la volontà di continuare la ricerca del marito sulla possessione diabolica delle donne. Una ricerca a metà strada tra antropologia e letteratura. Ma dietro a questo desiderio della giovane vedova, c’è Mieko, a sua volta interessata all’argomento e autrice di un saggio giovanile sull’argomento.

Tra le due c’è un rapporto ambiguo, torbido (secondo i parametri sociali consueti), a metà strada tra sudditanza psicologica e amore lesbico. Mieko, con le sue maniere eleganti e la sua avvenenza che non accenna a sfiorire, esercita un’influenza strana sulla giovane nuora. Mikame e Ibuki, due giovani frequentatori della casa delle due “streghe”, sono le volontarie vittime degli inganni di Mieko, per tramite della giovane e volubile Yasuko.

Uno dei leit motiv del romanzo sono le maschere del teatro Nō. Ovviamente, maschere femminili. In un gioco di rimandi simbolici tra personaggi e maschere continuo. E poi, altro leit motiv, è la possessione femminile. Di cosa si tratta? Nella letteratura classica, amanti e moglie tradite, abbandonate, violate, si tramutano in demoni che tormentano chi ha inflitto loro il dolore da vive, Mito e figura letteraria di origine cinese, arriva nella letteratura nipponica a livelli sublimi di inquietudine (Si vedano i racconti di Ueda Akinari).

Il defunto e giovane marito di Yasuko aveva una gemella, Harume. Bellissima ragazza, bianca come la luna, ma folle. Proprio perché ritardata, viene allevata di nascosto, lontano da casa, e ritorna nella vita della famiglia solo da adulta. Il legame tra follia e divino compare in tutta la storia umana. Harume, a metà strada tra bambina e fantasma, sciamana e prostituta divina, è il fulcro involontario della trama delle due “streghe”, Mieko e Yasuko.

Mieko e Yasuko sono personaggi allo stesso tempo negativi (che tramano nell’ombra) e positivi: sono la rappresentazione tutta interna dell’irrazionale femminile,  ma spogliata dello sguardo indulgente dell’uomo (qui giustamente ingannato e utilizzato come mezzo). Mieko e Yasuko, attraverso Harume, perpetuano la forza vitale, generano la vita, anche là dove la società sconsiglierebbe di farlo. Può una folle diventare madre?

Avvertenza. Questa quasi “recensione” è scritta da un uomo.

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