“Viaggio al centro della terra” di Jules Verne (1864)
Non c’è niente da fare. Ogni volta che leggo un romanzo di Jules Verne ne rimango entusiasta. Così è avvenuto con Viaggio al centro della terra, e così avvenne qualche anno fa con Ventimila leghe sotto i mari. Il sapiente gioco tra verisimiglianza scientifica, ritmo narrativo, e vividezza dei personaggi e delle descrizioni, rendono questo autore un vero piacere da leggere, anche in traduzione. Fortunatamente, il corpus delle opere di Jules Verne a cui attingere è enorme: solo se parliamo della cosiddetta serie dei “Viaggi straordinari”, il prolifico autore francese pubblicò in vita cinquantaquattro romanzi; e se a questi si aggiungono altri otto postumi della stessa serie, ben si capisce quanto fosse metodico e instancabile questo scrittore. Questa nota di lettura sarà insolitamente breve, perché mi pare superfluo tentare una qualche forma di recensione che riporti la trama o un’analisi narrativa e stilistica. Farò solo qualche considerazione sul libro e sul genere. Non ho nessuna intenzione di rovinare il gusto della lettura di questo libro. Continua a leggere “Il piacere dell’avventura”
Compito della letteratura è anche quello di trasporre in storie quelle idee, figure ed emozioni che rese in forma non letteraria conserverebbero l’essenziale del loro significato, ma che forse avrebbero ben altra persuasività su coloro che le ascoltano e le leggono. Da anni, con intervalli di tempo variabili, rivado – diciamo così – alla rilettura di un certo romanzo di non molte pagine scritto da uno dei maggiori autori della letteratura russa: Padri e figli di Ivan Turgenev. Si è soliti sintetizzare il contenuto di Padri e figli ponendo l’accento sul contrasto – palese fin dal titolo – tra la vecchia generazione di padri progressisti che andava a costituire con difficoltà un’embrionale borghesia in una Russia, fatta ancora di rapporti sociali arcaici, e la nuova generazione di figli che quel percorso di innovazione e di messa in discussione dei valori tradizionali tentava di portarlo alle sue estreme conseguenze, approdando ad un sistema di pensiero, il nichilismo, che in quegli anni e con vari sfumature di significando andava diffondendosi nella cultura europea.
Una letteratura “facile”, che suoni sui tasti di una comprensibile emotività e che si sviluppi in una trama avvincente, non è da biasimare. Fa il piacere della lettura e, qualche volta, produce anche opere destinate a restare. Quelle che, decenni o secoli dopo, definiremo “capolavori”. Tuttavia, è esistito ed esiste anche un modo di scrivere che nasce prima della necessità di piacere a un “pubblico”, che poi sono i lettori (necessità legittima, l’ho capito anche io, finalmente). Quel tipo di letteratura era possibile solo prima che si sviluppasse il “mercato editoriale”, un meccanismo socio-economico che ha portato il libro a diventare anche, se non soprattutto, prodotto, con tutte le logiche, positive e negative, che questo mutamento ha comportato. Tutta questa premessa per dire che le opere dell’autore di cui si vuole parlare qui, Natsume Sōseki (
C’è una dimensione, tanto letteraria quanto reale che, per quanto ripetuta a lungo, non sembra proprio passare di moda: la noia del quotidiano e l’assurdità del suo ripetersi. Dopo due secoli di “letteratura della noia”, da Leopardi, passando per Sartre, e arrivando agli infiniti imitatori di oggi, dovremmo averne abbastanza. In fondo, in questa disposizione d’animo tipica della modernità risiede tutta la verità delle nostre dormienti province, delle nostre città caotiche e inconcludenti; una realtà solo superficialmente scalfita dalla rivoluzione dell’iper-velocità delle comunicazioni. Leggete i drammi di Cechov, e vi accorgerete come il clima dei suoi dialoghi, ambientati in una dormiente Russia rurale della fine del XIX secolo, poco si discosta da molti dei nostri atteggiamenti.
Introduzione. Il processo di ricezione, assimilazione e sintesi che la società intellettuale russa compie nei confronti della cultura europea tra XVIII e XIX secolo, riguarda anche gli spazi “geografici” dell’immaginario poetico. L’antichità classica e l’Italia come terra di delizie e nuova Arcadia fanno parte di questi orizzonti poetici, e trovano un certo spazio nella produzione poetica russa.
Orlando Figes è un noto russista inglese, docente all’università di Londra. Il suo voluminoso libro, Gli Europei. Tre vite cosmopolite e la costruzione della cultura europea nel XIX secolo, (Mondadori 2019) ha ambizioni più ampie che fuoriescono dal recinto degli studi slavi che gli è proprio. Partendo dalla biografia di un autore centrale della storia letteraria russa, Ivan Turgenev, e di Pauline e Louis Viardot, Figes racconta sullo sfondo biografico il processo di formazione di una cultura comune europea che proprio nei decenni centrali del XIX secolo stava emergendo in tutta la sua evidenza. L’intreccio tra le vicende biografiche dei personaggi storici ritratti rende la narrazione avvincente, e fornisce lo spunto per parlare di tali mutamenti sociali e culturali. 
Quando acquisto libri in contesti non familiari, vale a dire non nelle solite librerie in cui vado, ma in giro per il paese, per bancarelle, in ammuffite librerie di usato, e così via, sono solito mettere una notarella sul luogo e la data di acquisto, in fondo al libro. Pare che questa volta mi sia dimenticato di scrivere questa nota ausiliare della memoria, visto che il libretto Salotti romani dell’Ottocento, scritto da Ludovico Paolo Lemme e pubblicato da una casa editrice che non avevo mai sentito, non riporta né data, né luogo di acquisto. Il volumetto ha “solo” trent’anni, ma pare ben più antico per via della grafica retro. Non è stato, però, il valore antiquario del libro, peraltro nullo, a spingermi a comprarlo (forse a Bologna?), quanto il tema: il salotto culturale.
Ponte di passaggio tra Classicismo e Romanticismo, Vittorio Alfieri è, al pari di Byron, importante come personaggio e personalità, quanto e forse ancor più che come autore. Lo si comprende bene leggendone la vita: temperamento libertario e impulsivo, sempre alla ricerca di una libertà totale, decide di non sposarsi e di non procreare in modo consapevole, rinuncia all’eredità paterna in favore della sorella in cambio di un vitalizio, si congeda dall’esercito per non dover chiedere il permesso di viaggiare al Re.