“Su Facebook non ti legge più nessuno, vai su Tiktok!”
Negli anni è stata annunciata la fine di Facebook innumerevoli volte. Eppure il vecchio social network – che ormai ha compiuto vent’anni – continua a tornare a galla, macinando utili. Certo, è evidente che la fascia più giovane abbia abbandonato da tempo la piattaforma di Zuckerberg: la battuta “Facebook è quello blu”, usata dai ragazzi per liquidare i commenti “boomer”, è diventata un’icona generazionale. Al di là delle dispute tra vecchie e nuove generazioni, Facebook conserva una peculiarità cruciale per chi si dedica alla scrittura o a certi tipi di “creazione di contenuti” (sì, suona strano dirlo in italiano, lo so): qui la parola scritta resiste, affiancando ancora immagini e video. Continua a leggere “Social media per scrittori”
Opera a metà strada tra diario di viaggio, saggio e opera letteraria, Hong Kong. L’anima di una città incredibile cerca di svelare l’essenza e l’identità di una delle metropoli più affascinanti dell’Asia Orientale. Dopo una breve introduzione sulla storia di Hong Kong, il libro esplora vari temi chiave: l’influenza del paesaggio urbano sulla visione della vita degli abitanti, il modo in cui vengono vissuti gli spazi sociali, la storia dello sviluppo architettonico e la dimensione linguistica, letteraria e spirituale della città. Cinema e letteratura hanno creato un immaginario collettivo della città, dipingendola ora come intima e romantica “Parigi d’Oriente”, ora come la violenta città delle Triadi. Ma soprattutto, questo libro racconta della Hong Kong autentica e genuina che si cela dietro la facciata di centro finanziario globale: la città vibrante dei mercati rionali, dei piccoli templi incastonati tra i grattacieli, dei parchi cittadini pieni di vita.
Quanto il mondo conservava qualche lembo di terra ignota, i ribelle, i reietti, i disadattati, gli infelici, potevano decidere di imbarcarsi verso l’ignoto e canalizzare così nel viaggio le proprie ansie, le proprie insoddisfazioni. Questa possibilità doveva avere una potente funzione catartica a noi sconosciuta in quest’epoca di geo-localizzazioni Google e visioni satellitari. Tra le possibilità di fuga vi era senz’altro la possibilità di diventar pirata e tentare la fortuna per i mari. Si trattava di una vita avventurosa e pericolosa, un’esistenza in balia di uomini senza scrupoli e sotto la costante minaccia della morte che poteva giungere per fame, naufragio, o per una palla di cannone sparata dalle navi che tentavano di respingere gli attacchi pirati e che, nel migliore dei casi, avrebbe potuto tranciarti di netto una gamba o un braccio.
L’andamento del nostro stile di vita muta e si rapporta al ritmo con cui viviamo e assimiliamo la scrittura. E per “scrittura” dovremmo intendere non solo un modo di conservare e tramandare informazioni, le storie e le emozioni, ma anche un modo di conoscere il mondo lì fuori, leggerlo nelle parole, nelle immagini e nelle interazioni che queste creano tra loro. Quando il mondo non era spezzettato dalla velocità e l’unica “rete” che legava un luogo all’altro era a lenta percorrenza, ma reale, fatta di strade, di fiumi e di laghi, il tempo della vita-lettura era meditativo, lento e persino paziente. Allora scrivevamo e leggevamo libri voluminosi, romanzi pesanti che potevano raccontarci di intere generazioni o magari descrivevano singoli attimi perdendosi per decine e decine di pagine. Leggevamo meno, forse, ma ci soffermavamo più a lungo sulla scrittura, ed eravamo costretti ad esercitare la memoria perché il mondo scritto era difficile da consultare, più raro e prezioso, e conveniva assimilarne avidamente quanto più potevamo.
Come può un romanzo essere crudo, a tratti noir, sensuale e romantico allo stesso tempo? Difficile, si rischia un pastiche incoerente. Eppure, “Mostri e conigli a Tokyo” riesce ad ottenere questo risultato con una certa leggerezza. Prima fatica in traduzione italiana della sconosciuta Fujiko Akiyama (un nome d’arte), il libro è una sorpresa inaspettata proprio perché pare spuntare fuori dal nulla. Le vicende della giovane Tanaka Shizuka sono un inno alla libertà e al coraggio di affrontare le proprie scelte con estrema coerenza. Tutto incomincia in un normale liceo di Tokyo. Shizuka decide che da un certo giorno in poi vivrà come se fosse “un coniglio”: si veste in modo strano, indossa un cerchietto con orecchie di peluche da coniglio e sostiene, candidamente, di essere diventata una coniglietta.
Verso la fine degli anni Novanta del secolo scorso, la tecnologia stava portando a grandi cambiamenti nelle abitudini quotidiane. Nel quinquennio precedente la fine del secolo, la rete internet si era orma diffusa a livello planetario. Altro importante fattore di cambiamento fu l’irruzione nelle nostre vite del telefono cellulare. È in quel torno di anni che, con una crescita esponenziale, il “telefonino” diventerà un accessorio fondamentale della nostra quotidianità. Nel romanzo Mosaico di Taguchi Randy (
Voglio parlare di un libro, senza parlare del libro. Odio le recensioni banali, e amo le recensioni utili (quelle scolastiche, da manuale, precise, documentatissime, piene di note e di bibliografia). Le vie di mezzo sono un esercizio retorico di dubbia utilità. Voglio parlare di un libro, anzi di quello che ci sta dentro, senza faticare a riassumere una trama. Fatevelo voi. Leggetevelo. Il libro è il breve romanzo della scrittrice Enchi Fumiko (che gli dei la benedicano), intitolato Maschera di donna (Onna-men
Le crisi esistenziali rientrano nei cliché dell’esistenza (e della narrativa). Ed è proprio questo ad indispettire il frivolo e disilluso Bimko, professore di liceo alle prese con una vita di ordinaria mediocrità: un amore ormai consumato, la perdita di fiducia in ogni suo antico ideale, l’insoddisfazione per una quotidianità grigia e banale. Cultore di letteratura cinese e giapponese, è affetto da un’insana ossessione erotico-estetica per le donne dell’Asia orientale, un tipo di bellezza alla quale assegna addirittura significati allegorici e spirituali. Decide così di lasciarsi tutto alle spalle, di scivolare in un vitalismo entusiasta e di partire per l’Asia Orientale. Il romanzo è la storia di questo grottesco viaggio, tra Cina, Corea e Giappone, lungo il quale Bimko è vittima di avventure esilaranti e inverosimili nel tentativo improbabile di radunare ragazze disposte a vivere con lui in un convivio di amore collettivo.
“Sono le 2:36 del mattino. È il 20 giugno 2011 ed è l’anniversario della nostra morte”. Alle parole ‘anniversario della nostra morte’ Mone guardò Nana in volto. […] “Probabilmente non saremo scoperti per giorni… stanno per iniziare le vacanze estive e oggi è lunedì…”. I quattro individui che se ne stanno seduti al buio in un’auto si sono conosciuti su internet. Una donna di mezza età, un giovane uomo poco più che trentenne, un ventiseienne, e poi c’è lei, la giovane Mone, quindici anni appena. Dobbiamo figurarci la seguente scena: questi quattro individui si sono conosciuti di persona pochi minuti prima, ed ora sono in un’area isolata, in mezzo ai boschi, dentro l’auto. L’intenzione è suicidarsi insieme, per farsi coraggio. Ognuno ha una propria motivazione, ognuno ha maturato una stanchezza diversa per la vita e pensa di non aver via di uscita. Questo è uno dei punti culminanti del breve romanzo Il paese dei suicidi, della scrittrice giapponese (ma di origine coreana) Yū Miri.
Una storia di estrema semplicità. Un uomo, un derelitto, una specie di barbone alcolizzato che compie un viaggio in treno da Mosca a Petuškì, cittadina industriale a poche decine di chilometri dalla capitale. Ma il suo stato di sbronza perenne rende quel viaggio un continuo confrontarsi con i mostri di un’interiorità tormentata (come da cliché letterario). Volutamente banalizzata in questa stringata descrizione, il breve romanzo di Venedikt Eroféev, è un’opera importante nel panorama letterario e culturale di quegli anni. Siamo nella Russia sovietica (1973), ma il respiro dell’opera – un respiro post-moderno, dove il pensiero si disarticola e si frammenta – è del tutto europeo. Prima di concederci qualche dettaglio in più sul libro, parliamo del titolo. Mosca-Petuškì è il titolo originale, ma esistono traduzioni che impiegano titoli riadattati, cercando di rendere quelle sfumature che al di fuori del contesto inevitabilmente si perdono. È il caso della traduzione di Pietro Zveteremich, per Feltrinelli: in quella traduzione ormai classica l’opera diventa “Mosca sulla Vodka”.
Se per raggiunta sopportazione ti capita di strangolare, in una sera come tante, tuo marito, e se poi le colleghe di lavoro, una notte come tante, ti aiutano a liberarti di quel cadavere facendolo a pezzi, non è il caso di parlare necessariamente di indole criminale o, ancora peggio, di patologia mentale. Se quella vita, piccola, deludente, senza speranza, ti ha logorato per anni, allora, magari, la patologia è in quel caso la vita stessa, ed è inutile scomodare lo psichiatria. Il romanzo di Kirino Natsuo, Le quattro casalinghe di Tokyo (titolo troppo didascalico scelto dall’editore italiano in luogo di un laconico Out) è un romanzo multi-strato e multi genere. Thriller, noir, romanzo esistenziale sulla condizione della donna (ma anche dell’uomo) nel mondo moderno, sulla solitudine, sui mostri che ci vivono dentro e che fingiamo di non vedere. Mostri che tuttavia stanno lì, pronti ad uscire e a smembrare cadaveri. Kirino Natsuo (manteniamo l’uso tradizionale giapponese di citare gli autori nell’ordine cognome-nome) disegna un mondo normale; anzi di una banalità sconcertante, e poi ci mostra come quei mostri vivano in esso perfettamente mimetizzati. Anzi mostra che, in fondo, siamo tutti mostri.
Non sappiamo perché, ma dai coreani ci aspettiamo stranezze e le tolleriamo. Anzi, per questo li amiamo. “Stranezze”, si intende, dal nostro punto di vista. Dobbiamo scomodare la categoria del grottesco per definire serial coreani come Squid Game, la pellicola Premio Oscar Parasite, e altri prodotti che ci provengono da quel paese. Una sensazione analoga coglie il lettore del romanzo breve La vegetariana, della scrittrice coreana Han Kang. Ma la gamma di sensazioni ed atmosfere che l’autrice è capace di costruire in poche pagine, ci fa dimenticare in fretta l’etichetta di grottesco appena evocata, e ci lascia smarriti, con la sensazione di non sapere cosa abbiamo realmente letto: un horror? Un romanzo erotico? Un romanzo esistenziale sul significato della vita e il valore della libertà individuale? Tutte queste cose insieme. Tra l’altro, un esperimento che il lettore può fare per cogliere il valore universale di un’opera, – in altri termini di capire se si sta parlando ad un pubblico universale, – è quello di asportare artificialmente e simbolicamente quegli elementi che calano la narrazione in uno specifico contesto sociale, culturale, storico e linguistico. Se effettuata questa azzardata operazione di asporto, quello che ne rimane è un messaggio, un insieme di sensazioni e suggestioni ancora vive, l’opera ha un valore intrinseco, oltre quegli elementi che, comunque essenziali, non la definiscono per intero. 
Se siete stanchi di impegno, se ne avete abbastanza di sentire politici ripetere sempre le stesse cose e, ugualmente, non ne potete più di ascoltare la lamentela popolare col suo traboccare di luoghi comuni, fate un gesto di evasione, salvatevi. Isolatevi, egoisticamente, in un mondo piacevole, leggero. Plasmatelo a vostro uso e consumo, senza pensieri. Sedetevi in poltrona, sorseggiate un buon whisky invecchiato (o se non vi piace il genere, una tisana esotica o un tè), e leggetevi un libro. Oggi che l’invito alla lettura è diventato un’ennesima forma di impegno, e che questo “appello” qualche volta risulta un po’ antipatico (leggere fa bene, come mangiare frutta e verdura), leviamo subito di torno l’impegno. Leggetevi disimpegnati romanzi di genere, secondo la vostra indole. Divertitevi con la storia, la narrazione. Se vi va, seguite le mode del momento, gli autori da classifica.
Adolf Dygasiński (1839-1902), scrittore polacco, in La festa della vita (Gody życia, 1900) descrive la vita di un uccellino, un piccolo e comune scricciolo. Il piccolo volatile vive in povertà, osservando gli uccelli migratori nel loro cosmopolitismo alla ricerca di un’abbondanza sempre a portata di mano. Ma lo scricciolo ha deciso di vivere in prima persona tutte le stagioni, sopportando lo squallore e la fame dell’inverno per poi attendere la ricchezza ritrovata della primavera. Nonostante questo alternarsi di fortune, l’uccellino non è mai triste, perché il tempo ciclico gli ha dimostrato che sofferenze e miserie sono mali passeggeri, mentre solo la gioia per la vita può essere eterna, se sappiamo come affrontarla. 
C’è una definizione possibile dell’opera di Nikolaj Gogol’, scrittore russo (nato nell’odierna Ucraina) e ricompreso nel canone dei “classici”: Gogol’ è un prontuario di prototipi di personaggi della letteratura russa e universale delle epoche successive. Mi spiego meglio. Leggendo le sue opere, dai racconti, al più noto romanzo Le anime morte, e se si conoscono per sommi capi le linee di sviluppo principali della letteratura successiva, del grande romanzo ottocentesco e novecentesco europeo, si incontrano, appena accennati o già riconoscibili, temi, atmosfere, personaggi che poi la stessa letteratura europea e mondiale farà propri.
Michail Lermontov è un poeta e scrittore russo che pare egli stesso personaggio letterario. Anima tormentata, tipico rappresentante di quello che tra le aule scolastiche avete sentito definire come “titanismo romantico”, Lermontov muore giovane in seguito ad un duello, a soli ventisette anni. La giovane età lo pone in un ruolo problematico nel contesto letterario russo. Da un lato, il breve tratto di tempo che ha costituito la sua vita non gli ha permesso di raggiungere a pieno la sua maturità artistica. Dall’altro Lermontov ha lasciato versi e opere in prosa che ci paiono perfettamente compiute e che collocano l’autore in un panorama di respiro europeo.
Nella versione compatta in un solo tomo della voluminosa storia letteraria, intitolata semplicemente Letteratura giapponese. Disegno storico*, lo storico della letteratura Kato Shuichi, aveva già segnalato lo scrittore Jun’chiro Tanizaki come tra i maggiori autori del Novecento Giapponese, indicando nel romanzo Neve sottile il culmine dell’opera di Tanizaki.
Sarà forse perché nel rivendicare gusti ingenui, il critico o il semplice lettore, si dichiara indirettamente ricercato e raffinato. O sarà semplicemente perché i romanzi del ciclo di Sandokan di Emilio Salgari sono effettivamente di una godibilità che crea subito affezione per il suo impavido eroe. Lettura per ragazzi e lettura vintage ad un tempo. La prima, una categoria che ha condannato molte opere ad una nicchia che non apparteneva loro, mettendo in ombra alcuni importanti capolavori della letteratura mondiale (uno su tutti, Jules Verne). La seconda etichetta, quella di vintage, più onesta: i “ragazzi” di oggi forse non hanno mai sentito parlare di Sandokan, e già per la mia generazione i libri di infanzia, negli anni Ottanta del secolo scorso, erano altri.